Trento, 26 luglio 2013. – * Una legge che dia maggiore rappresentatività alle donne: cosa ne pensiamo? Ce lo siamo chieste come candidate del Movimento 5 Stelle alle prossime elezioni provinciali di ottobre. Abbiamo letto sui quotidiani locali varie opinioni, sia a favore sia contro, quasi tutte espresse da donne: come a dire che è una questione che ci riguarda come donne e fra donne pare debba restare, dato che l’altro genere non crede opportuno perdere tempo a discuterne e tanto meno a considerare disegni di legge sul tema, che giacciono da anni in attesa. Personalmente, d’istinto proverei un senso di rifiuto per le cosiddette “quote rosa”, comunque si identifichino: a) perché nel ventunesimo secolo sono un “aiuto” umiliante per il genere femminile, b) perché costituirebbero un ulteriore vincolo posto agli elettori e alle elettrici, già demotivati nei confronti della partecipazione al voto dal fatto di non potersi sentire autori di una scelta perché tutto viene già deciso nelle segreterie dei partiti; c) perché preferisco sempre ragionare in termini di persona e del suo valore piuttosto che di maschio e femmina. Ma ci sono alcuni “ma” che ci fanno riflettere. a) Le cifre impietose della presenza femminile in Consiglio provinciale: quando ne ho preso atto sono rimasta di stucco, dieci donne in quarant’anni, su un totale di 280 posti disponibili. Dal 1973 sono state elette Claudia Piccoli, Wanda Chiodi, Franca Berger, Paola Vicini Conci, Iva Berasi, Margherita Cogo, Marta Dalmaso, Caterina Dominici, Franca Penasa (più Sara Ferrari e Vittoria Agostini, entrate come sostituzioni). E ce ne accorgiamo solo ora: lo squilibrio è talmente enorme da passare in rimozione. b) I modelli poco esaltanti di donna che emergono alle cronache del parlamento: modello “potere maschile”, modello donna eccentrica, modello donna priva di qualsivoglia competenza, almeno attinente ad un’attività di buon governo. Chi lavora con impegno e competenza probabilmente non fa notizia. c) I divari che permangono nelle condizioni lavorative: ad esempio, nell’amministrazione provinciale i dipendenti si distribuiscono più o meno al 50% fra uomini e donne, ma solo il 35%di donne raggiunge l’incarico di direttore e solo il 22% quello di dirigente; il 93% dei contratti part-time riguardano donne, i congedi parentali sono utilizzati da uomini solo nel 7% dei casi, l’aspettativa per assistenza nei confronti di famigliari o figli solo nel 5%. Quindi credo che, preso atto di ciò, sia necessario accettare questa ulteriore umiliazione che sono le “quote rosa” – lo stesso termine ha sapore superficialmente dispregiativo – per avere un’occasione in più di dare dimostrazione di valore e merito. Almeno speriamo, anche se ben altro servirebbe per cambiare rotta. Ma perché questa esclusione delle donne dalla politica? Nelle analisi che ho letto finora ho visto ricercare le cause all’interno dei partiti e della loro organizzazione, ancora a misura maschile, e nei metodi di scelta delle candidature. Sicuramente la gestione dei partiti come feudi maschili ha un peso non indifferente, ma credo che le cause più profonde vadano ricercate nella società e nella politica come gestione della società. Lo dico con cognizione di causa dal momento che, militando in un movimento, il Movimento 5 Stelle, non organizzato – nel senso che tradizionalmente si dà a questo termine – e totalmente aperto alla partecipazione, ho potuto constatare al momento della raccolta delle candidature per le prossime elezioni provinciali, che pur in una situazione libera, aperta, non precostituita, le candidature femminili sarebbero state numericamente scarse. Quindi? Quando dico che servirebbe ben altro per cambiare rotta, intendo dire che da una parte servirebbe un cambiamento radicale nella progettazione e nell’organizzazione dei servizi, risultato di politiche ispirate al servizio e non al profitto, e dall’altra servirebbe un cambiamento culturale non indifferente. Per questo secondo aspetto, dico subito che noi donne abbiamo una grande responsabilità nella trasmissione di un modello culturale che vede la donna essere il centro silenzioso attorno al quale ruota l’organizzazione famigliare. Non solo per l’impegno fisico e di tempo, ma anche e soprattutto per l’impegno di energie mentali, la donna lavoratrice, moglie, madre, figlia, sorella, amica, assomma così tanti compiti quotidiani, dagli impegni lavorativi all’organizzazione degli aspetti legati alla casa, dal seguire i figli nella crescita, nella vita scolastica, nelle attività extrascolastiche alla cura dei famigliari anziani, che non riesce a trovare tempo e soprattutto energie per l’impegno politico. Attenzione amiche: siamo noi donne in primo luogo a dare esempio alle nostre figlie femmine di un ritmo di vita dove non resta lo spazio per guardare fuori dalla propria cerchia, per guardare l’altro, la società, il bene comune, e a dare l’idea ai nostri figli maschi che comunque c’è sempre una donna – la mamma, la nonna, la sorella prima, la compagna dopo – che programma, organizza, assolve, prepara, segue, risponde, aiuta, ecc.,ecc. Il cambiamento culturale parte da noi. E’ vero che, rispetto a qualche decennio fa, i padri hanno imparato a dare la pappa, a cambiare i pannolini, ad andare a udienza, a giocare con i figli, ad accompagnare i genitori anziani ad una visita, ma i dati visti prima sull’utilizzo dei congedi la dicono lunga sul peso ancora ultra leggero che tali attività hanno nella vita maschile. Tra l’altro, occupandomi di ricerca sociale, mi sento di dire che sul tema dell’occupazione femminile e la conciliazione lavoro-famiglia i dati e gli studi abbondano: un’ informazione che emerge con forza è che il peso dei carichi di cura in capo alle donne è un fattore determinante delle disparità sia rispetto al lavoro, sia rispetto allo sviluppo professionale, sia rispetto alla partecipazione alla politica. Ciò che manca é la volontà di tradurre in azioni concrete ed efficaci le indicazioni che emergono dai dati e dalle ricerche. Per quanto riguarda invece il miglioramento dei servizi, voglio portare il mio esempio, perché lo penso analogo alla situazione di decine di migliaia di donne nella nostra provincia. Intorno all’anno duemila mi sono trovata con due figli in tenera età e due genitori anziani che iniziavano a necessitare di assistenza: per dodici anni la mia vita è trascorsa in funzione di un tempo tiranno, che scorreva senza essere mai abbastanza per poter svolgere bene tutti i compiti, da quelli lavorativi, a quelli di madre, a quelli di figlia, e lo spazio per l’impegno civile è stato sottratto a fatica, ritagliato qua e là. I servizi ci sono, ma individuarli e organizzarli è un lavoro aggiuntivo, soprattutto perché si usa tanto tempo prezioso a comporre un puzzle, cercando, in molti posti e attraverso diversi soggetti, di costruire un pacchetto di servizi che possa rispondere alle tue esigenze. In estrema sintesi, i buchi sono tanti, a cominciare dalla scuola: per la primaria ho dovuto ricorrere alla scuola privata perché gli orari della pubblica non erano compatibili con le esigenze della mia famiglia; per la sanità, ho dovuto fare i conti con tempi di attesa a volte improponibili, altrimenti paghi; sull’assistenza all’anziano, l’aspetto del risparmio dei costi prevale sulla qualità del servizio, per cui sono stata costretta sempre ad integrare, aggiungere, cercare altro. Nella società trentina, le donne, in grande maggioranza, portano indubbiamente sulle spalle il peso e la responsabilità della gestione delle attività e dei problemi della sfera privata, delegando, volutamente o forzatamente, agli uomini la gestione delle attività e dei problemi della sfera pubblica. Vogliamo provare a pensare cosa potremmo fare di buono per la nostra società, se portassimo un po’ della nostra esperienza, delle nostre competenze, delle nostre capacità, della nostra energia, nell’impegno politico? Siamo convinte, come donne candidate del Movimento 5 Stelle, che serva un’impronta femminile per contribuire al cambiamento e al miglioramento di tutto quanto oggi denunciamo. * Candidata alle prossime elezioni provinciali per il M5S, psicologa, funzionaria pubblica
]]>