Trento, 20 marzo 2016. – Questi segni di schifo non vanno bene, queste labbra deformi e le voci tese, troppo da attori; queste guance tese e i sorrisi con tutti i denti; dovreste essere potenti e non lo siete, dovreste essere cagne e cani [ma avrete una cultura non umana], dovreste essere leopardi e Leopardi, se no non funzionate. questa manía si vede e non si lascia la potenza; ma chi vede la bellezza nelle mani, in un osso, in un polso, è il piú fecondo [il sesso è molto e poco, nello stesso tempo: dovevate saperlo, prima; avreste dovuto saperlo, prima e dopo]. voi attrici, voi attori, siete la mia ipotesi migliore, oggi. Quello che appare, appare per agire. quello che appare, viene per strappare i diritti, viene per per inventare i diritti – il primo è la solitudine – e quello che appare nega e spera, aspetta e spara anche cazzate, ma dette bene. lo sciamano non dirà cosa è il sale della terra, perché non lo sa. Quello che appare è una ripetizione magnetica, come l’ipnosi, perché suona un liuto qui e al mattino questa cosa è piaciuta. Nella posta appare una foto nuova. The Workaholic torna al lavoro. La meglio gioventú si esalta. Esce il libro Lotta di Classico. Il caso Massimo Sannelli, a cura di Elisabetta Brizio. In questo libro si tratta di me. C’è una bella domanda di Elisabetta Brizio: “Il cosí detto cinema di poesia non tende forse di per sé a cessare di essere cinema comunemente inteso, a divenire, chiasticamente, il poema filmico teorizzato da Pasolini?”. Rispondo cosí. Se «il cinema comunemente inteso» è un racconto ordinato, il cinema di poesia deve diventare un poema filmico, è chiaro. Ma attenzione a Pasolini. Uno come Pasolini non parla mai di cose diverse da sé. Quanto a noi – il pubblico, gli intellettuali, i diretti dal Director non storyteller e molto sadico –, noi cerchiamo idee ed interpretazioni dove ci sono solo specchi personali. Ora, Pasolini non si interpreta, ma chiede un rapporto gerarchico, perché si è posto automaticamente fuori dall’umano, praticando l’Opera e il Sesso, due forme di eccesso. Oggi citare Pasolini è affascinante. Per forza di cose, perché è un pezzo unico. Ma noi sbagliamo sempre la premessa: vogliamo interpretare il massimo livello della solitudine, che è un fatto religioso, come se la solitudine fosse un messaggio da capire, una disgrazia da compatire, e non un ruolo che ti taglia fuori. Se io sono solo, ti voglio solo come pubblico, capisci? Nessuno lo capisce. Il cinema di poesia è un atto superbo e sublime, nello stesso tempo: puro narcisismo di Narciso, rifatto sempre. E il regista non può essere molto dolce, comunque: la direzione non è mai delicata, per statuto. Fine della risposta ad Elisabetta Brizio. I corsivi non si leggono qui, ma nel libro. E ora continuo con gli appunti. Quando comincia l’assoluto, l’assoluto è chi giudica; è chi mangia e non ruba, e può nutrire anche gli altri; è chi insegna ed è il palco, ma non è il pubblico; sul palco c’è qualcuno, un uomo pubblico, ma l’assoluto non è il performer. L’assoluto non è il performer ma la voglia che lo guida; l’assoluto è la forza, ma non è l’esecutore, anche se l’esecutore deve essere virtuoso. Marzo è ancora freddo e finisce tra poco; in marzo il lavoro, tanto e sempre; e disagi, senza perché [e il contatto con gli altri è tossico, sempre di piú]. In marzo c’è stato il riconoscimento dei due valori: il primo valore è che o non sono un poeta o i poeti non sono i miei compagni [nessuno li vuole, nessuno li ama]; il secondo valore è che è inutile disperare.La voglia di spingere un’azione partirà. Un posto pieno di fiori e di frutti, veramente?
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