Trento, 10 dicembre 2014. – L’ampiezza di occasi e cipressi è abitabile, virtualmente; oppure può essere sorvolata dalla rondine. Ora «la bravura accasa lo scontento»: il talento si è fatto il suo spazio, lungo e largo. È chiaro: non è che debba sempre iniziare una vita nuova; la vita può anche continuare, come è sempre stata; e può anche negarsi e sopportare se stessa come nella pace del sonno, quando «vado all’espatrio ogni notte». Le parole ritornano sempre: angelo, occaso, cipresso, rondine, eremo, scempio, pianto, sillaba e sillabario, resina, dio e i suoi derivati immaginari (gerundio, odio, gaudio, tedio, idiota). O è tutto retorico – e qui il martello retorico è forte, perché non incipit vita nova, ma si mostra la continuità massacrante della vita – o non lo è, non del tutto. Qui non ci sono idee, ma solo speranze pratiche, come il sonno, il morire e «questa bravura di piangere». I fatti sono moralità dei fatti o azioni senza cronologia: «al cospetto del cipresso voglio andarmene», «mi va di crollare nel fantasma», «mi va di piangere col sole nero addosso». Ed ecco il punto: il diario non può segnalare pubblicamente fatti, ma solo moralità non triviali; non le interpretazioni dei fatti, ma il loro colore personale, cioè la percezione di chi assiste ai fatti. È un Cantico di stasi, e per l’umile Italia è un ossimoro culturale. Non come in Dante, dove tutto si muove, Belacqua escluso, Brunetto incluso. Dante corre perché è agens o viator, e nella vita corre, perché ha l’ambizione di imporsi, una volta per sempre; e così è stato. La stasi è una condizione da autore, non da pellegrino. E qui c’è il cantico di una stasi senza un dilectus da amare come nel Cantico dei Cantici, e senza un «fatale andare» da compiere, come in Dante. L’esclusione toglie essenza e presenza: allora singolarità, nessun duca, né politico né personale, e solo stasi. La stasi non è male, di per sé. Giocandoci un po’, si arriva anche all’estasi, come nel delirio stilnovistico della Biografia ad Ebe del giovane Luzi; e la stasi può essere il riposo. Qui, nell’atto di dolore, la stasi è una perpetua stasi, come la lux della preghiera ai morti. E si mostra la condizione privata: non è la corsa – anche professionale – di chi va perché è il prediletto dello Spirito, come Dante. Senza Lucia e Beatrice non ci si muove, anche se il talento è grande: «la bravura accasa lo scontento / vetustà del tedio darsi la morte». Ora, dalla casa non escono grandi notizie, ma lavori. L’ineffabile è coartato bene. Il capitolo 24 del Vangelo di Matteo si può leggere letteralmente? Diciamo di sì. L’ipersensibilità conosce due fatti notevoli: le cause sono concause, gli effetti sono contemporanei e contradditori, oltre che violenti. C’è un livello di coscienza in cui il mondo sono io. Lo strano io so di Pietro II, pastor poeta – cioè Pasolini – esiste letteralmente, e si legge letteralmente. In più, non è così raro. L’ipersensibilità ha molto a che fare con sora nostra morte corporale: alla quale si dice, divinamente come un ipotetico Salomone savio, «vieni, sposa, dal Libano»; così come si aspetta il sonno, ogni giorno. L’ipersensibilità si mostra, anche in forme politiche. Esempio: Paolo Barnard ha ammesso un periodo di alcool e psicofarmaci – intanto proponeva una teoria di salvezza – e il 28 agosto 2013 si è arreso in pubblico: la Modern Money Theory poteva essere luce, ma l’Italia non l’ha capita, né politicamente né economicamente. Barnard – psicologo e paziente della psicologia – ha sempre rotto il velo: il Vero Potere ha curricula spaventosi, pratica una sociopatia più che nazista, ma voi usate Twitter. Ragazzi, vi pisciano in testa – diceva. Intanto il Medio Oriente è in fiamme. Io ascolto My Favourite Things e Amalia Rodriguez – e mi occupo di cose internazionali, in solitudine –, nella casa impenetrabile, in solitudine, e sono come un esteta vuoto, il proverbiale cembalo che tintinna. Non lo sono in realtà, e so perché. C’è una difficoltà oggettiva e traumatica, che si rinnova sempre, meglio di un godimento: nessun piacere può rinnovarsi in questo modo, e nessun sesso ha questa continuità. La difficoltà è continua, sempre; glorificata dai bei suoni – Pärt, Webern, Bach rifatto da Webern, Scelsi – ma la difficoltà è continua, a partire dalle leggendarie piccole cose. È brava la mente, se può sgonfiarsi, di tanto in tanto. Ripeto: la difficoltà è continua, per chi la vive; e per questo la scrittura di Marina Pizzi è illimitata. La solitudine – asociale, ma non anaffettiva – vede il fatto dall’esterno. Lo registra e lo moralizza. Per moralizzarlo, annienta la cronaca diretta, che non serve, anche perché crea rapporti, e allora la solitudine si romperebbe. La retorica dell’amicizia è quello che è; è retorica, di cui Roma vive, come si vive di Famiglia, secondo la retorica (ma: «tacita piange la zucca / delle ceneri parenti, padre e madre simili / al cemento»). Lo studiolo segnala le concause e gli effetti, compresenti e contemporanei: depensa o non pensa o spensa, come Bene e Rosselli e Oberto, ma non può non sentire. Questi appunti sono un diario, prima orale e poi scritto. Sono pieni di nomi. Nomi nudi, e cooptati qui con poca grazia. Anche per dire, attraverso i nomi, una frase furiosa an die Nachgeborenen: qualcosa come li avevo sentiti, anche poco, va bene; ma li avevo sentiti. E la Tecnocrazia europea è stata trionfale, perché era irresistibile. Alla Tecnocrazia si può opporre solo la Teocrazia, senza mediazioni umane: «Consurget enim gens in gentem et regnum in regnum, et erunt pestilentiae et fames et terraemotus per loca» (Matteo, 24, 7). E poi verranno la consummatio e l’abominatio desolationis (24, 14-15). C’è chi sente queste cose, già ora. È l’occaso perché è il tramonto. È anche l’Occidente. Ora questa geofilosofia non fattuale è sensibile ma intraducibile: non può essere parafrasata, per fortuna, e quindi non è scolastica, perché non diventerà mai prosa. Usa più i sogni che Cacciari, e non sbaglia. È pre-teorica o anti-teorica. Le teorie e i loro fatti non ci sono; ovviamente non ci sono invenzioni, a parte quelle retoriche e ritmiche. I fatti romani, italiani, europei sono già dissolti, nell’anamnesi ineffabile. E la sensibilità raccoglie la visione dei dati, non i dati in sé. Lo fa prima che la Siria sia attaccata e l’Italia confusa fino all’ultimo grado. Chiaramente, prima della consummatio. Dicendo questo, ho scritto secondo un’ipotesi dura, in due degnità ermetiche: la stasi non è privata, le lacrime e il sonno sono sintomi. Voglio dire che il Cantico è parallelo alla morte del mondo conosciuto. Così ho immaginato un livello profetico, e l’ho portato fino a questo PUNTO. (introduzione a Cantico di stasi, Cantarena, Genova 2013).
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