Trento, 23 febbraio 2015. – Esame di coscienza di un letterato. O meglio: un letterato fa l’esame ad un altro letterato, maggiore di lui. Questo esame della coscienza di un ALTRO è un Memoriale, scritto nell’estate del 1837. Uno è il padre e l’altro è il figlio, il primogenito, nato “alli 29 di giugno del 1798 trè ore dopo il mezzo dì”. Il maggiore – il padre di suo padre – è il figlio, che si chiama Giacomo Taldegardo. Il minore – figlio del suo figlio – è il padre, il signor Monaldo, conte. Il minore fa l’esame della coscienza del figlio, quando il figlio non è più un morto in vita, ma un morto vero. In realtà questo figlio non è mai stato molto adatto a vivere. Il padre se ne ricorda bene, a costo di umiliare il suo ” amatissimo Giacomo”. Tutto ciò che è animale è stato un problema: urinare (“pensando e sottilizzando sull’atto dell’orinare, non lo faceva più naturalmente e indeliberatamente come facciamo tutti gli atti animali, e non ci era più modo che potesse emettere le urine senza incredibili stenti”), mangiare, usare le posate (” Alla mensa siedeva vicino a me, ed aspettava che se gli mettesse la vivanda nel piatto, non volendo incomodarsi a prenderla; e neppure voleva il fastidio di tagliarla col coltello. Toccava a me il tagliare a minuto le sue vivande, altrimenti le stracciava con la sola forchetta, overo impazientito le ripudiava”). L’urina non è importante, ma neanche la vivanda nel piatto lo è. Quello che conta è un filo rosso e violento. In poche righe il conte Monaldo rivendica tre volte la docilità del conte Giacomo: ” Da bambino fu docilissimo, amabilissimo”, ” con me era docile, e si arrendeva alle mie ragioni”, ” io gli consegnai il passaporto lasciandolo in piena sua libertà, ma gli feci considerare che, per buone ragioni, il suo viaggio in quel tempo non mi pareva opportuno. Egli mi aderì docilmente”. DOCILE deriva da DOCEO. È docile chi si lascia guidare, come Rosina nel Barbiere di Siviglia: ” Io sono docile, son rispettosa, / sono obbediente, dolce, amorosa; / mi lascio reggere, mi fo guidar”. Ma il Docile e la Docile possono diventare Vipere, se vengono toccati in un punto. Quando Monaldo scrive il Memoriale, gli atti del Docile Docilissimo sono già un’azione conclusa: ” da bambino fu”, ma ora non è, ed “era” molto docile, ma non lo è più stato, e poi “aderì”, ma ora non aderisce più, anche prima di morire. Ecco perché: il ragazzo è diventato una Vipera come Rosina, quando si è sganciato dalla Casa. Dopo il 22 marzo 1832 Monaldo non ha date e dati, come scrive a Ranieri: ” Tutto ciò che riguarda il tratto successivo è più noto a Lei che a me”. La vipera è uscita dalla Casa, dalla docenza e dal borgo. Siamo nel 1832. Allora Giacomo scrive il Dialogo di Tristano e di un amico, dove c’è un’occorrenza della docilità: “E gli uomini sono codardi, deboli, d’animo ignobile e angusto; docili sempre a sperar bene, perché sempre dediti a variare le opinioni del bene secondo che la necessità governa la loro vita”. Per essere docili bisogna essere variabili e ignobili, come i servi della Necessità e del Padre. È una cosa che va bene per i piccoli: ma solo fino ad un certo punto.
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