Trento, 18 aprile 2015. – La rosa con le spine, la prosa con le piume, ma perché?, la testa tra le rime, ma com’è? Intanto la primavera è iniziata ed è morto Giuseppe Zigaina, il santo frate del film. Mi disse che il regista rideva, filmando, e rideva e rideva, ma perché? Zigaina pensava: ride perché non sto confessando Franco Citti, ma lui, il regista. Lo credo anch’io. Ma non volevo parlare di questo ai gigli dei campi e agli uccelli del cielo. Parlo di prefazioni. Avete notato che i libri di poesia dei giovani sono pieni di critica? Sì, l’avete notato. I romanzi no, le raccolte di poesia sì. Ho avuto anch’io le mie prefazioni o postfazioni: Giuliano Mesa, Brunella Antomarini, Marco Giovenale. Certo: stupore e meraviglia, all’inizio. Ma a che servono le prefazioni? Ad una cosa sola: a favorire il posizionamento. Posizionamento in Arcadia? No. Il posizionamento è in Italia. Ma è un atto un po’ infelice: il canone è ristretto, la lingua è parlata male e scritta peggio, la popolazione invecchia. Così il libro di poesia cerca di essere legittimato, e nello stesso tempo è metaletterario e metalinguistico, cioè esprime il fatto di essere libro, e libro di poesia. Il meglio è autolegittimarsi, senza schermi; e poi rinnegare apertamente la metaletteratura en poète e la metalingua en poète. In una stanza ci sono venti poeti e sono carne al fuoco, che NON li affina. Chi è l’intruso? Chi non mangia pubblicamente, e attenti a lui. È un corpo estraneo, ma non è ingenuo, se no che fine fa la sua retorica?
]]>