Trento, 15 marzo 2015. – Bambolina, che cosa c’è da vedere a Parigi? Il cinema non mi va, il teatro sì, per una volta. Danno En attendant Godot, veramente? E dove? Al Théatre-Hébertot, bene. E chi è il regista? Roger Blin, proprio lui. Fantastico, si va: è una replica, ma va bene lo stesso. Hai già preso il programma, bambolina? Grazie. Che bello questo programma. C’è persino qualcosa, oltre alla pubblicità della polvere Caron e dello champagne Taittinger. La biografia di Beckett, due testi di Blin, e persino uno di Alain Robbe-Grillet. Fantastico. Conserverò questo programma del 1956 per qualche decennio. Nel primo testo Roger Blin parla di come si sta bene – cioè non si sta proprio – con Beckett: “On peut rire ensemble ou débloquer, ou se taire ensemble. S’il a marre de ma compagnie, il se lève brusquement et s’en va. C’est bien, c’est bon” [Si può ridere insieme, o divagare, o tacere, tutti e due. Se si stufa della mia compagnia, si alza di scatto e se ne va. Che bello, che idea]. Chi non vorrebbe avere un amico come questo? Io lo vorrei e ho già preso esempio: se lo conosci, è lui che ti evita. Sai, anima mia, tra 41 anni andremo a vedere un film, che si intitolerà Sette anni in Tibet. Allora David Thewlis dirà a Brad Pitt una frase che gli ruberò: “No one can stand your miserable company!”. Ma Beckett si stufa anche della buona compagnia, e meglio per lui. Secondo testo di Blin: “Il n’aime pas qu’on parle de lui. Il ne veut exister que par son oeuvre et quelques amitiés rares et profondes. Sa seule concession à la société est une photo d’identité, unique et de profil” [Non gli piace che si parli di lui. Vuole esistere solo attraverso la sua opera e qualche amicizia rara e profonda. Unica concessione alla società: una foto personale, sempre quella, e di profilo]. Su questo non posso essere molto d’accordo. Chi ha la faccia, si affacci, non solo con i simulacri cartacei; se ha un corpo, lo sprechi (molto castamente, o anche non castamente), mostrandolo. Ma Beckett è Beckett, siamo d’accordo. Il terzo testo è una sorpresa. È Alain Robbe-Grillet, ma è giovane, ha 34 anni, non scrive ancora per il cinema e non è diventato regista. È uno scrittore. Scrive così: “Quando il sipario si alza sui due personaggi di Samuel Beckett… cogliamo sùbito la finalità principale della rappresentazione drammatica: mostrare in che cosa consista questo semplice fatto di esserci… L’eroe teatrale, di solito, si limita a recitare una parte… Nel dramma di Beckett, al contrario, tutto accade come se Estragone e Vladimiro si trovassero in scena senza avere un ruolo. Sono lì e devono spiegarsi. Ma sembra che non li sostenga un testo ben preparato, accuratamente imparato a memoria. Devono inventare. E sono liberi. Si capisce che questa libertà non serve a niente: non hanno niente da recitare, come non hanno niente da inventare”. Il testo continua un po’, ma il gioco si è capito: non c’era niente da capire, sul palco. Ma c’era tutto da capire al nostro livello, nel pubblico pagante. E abbiamo capito come va: qualcosa – tu e io lo sappiamo – è sans emploi, non serve a niente, c’è ma non si usa – se non per apparire – ma noi preferiamo questa cosa alla poesia, che OSTENTA di essere sans emploi. Un conto è apparire sul palco (rischiando il corpo e la voce, e Blin ci gioca la sua credibilità, e Beckett anche di più); un conto è ostentare in un libro.Ora capisco. Apparire è più fresco e meno libresco. Meglio apparire, e apparire praticamente, quindi farsi pagare. E io ti chiamo bambolina, perché? Tu sei la mia pupilla etimologica.
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