Trento, 24 settembre 2013. – * Il 21 settembre Massimo Fini ha scritto sul “Fatto”: Perché ci farebbe bene una guerra. I motivi sono quelli di cui Fini parla sempre: troppo male di vivere, troppa nevrosi, troppa “democrazia rappresentativa”, troppo cibo, troppo tutto. Una guerra può ridare la misura, perché trasforma i cittadini in guerrieri. O forse no, non ridà niente, non trasformerà nessuno in qualcosa. In Youtube si trova il dialogo di Pierluigi Concutelli con Antonello Piroso. Concutelli dice di aver fatto cose aberranti. Ha ucciso, o meglio – come dice lui – ha “creato degli orfani”. Ma c’è chi gli augura onore, perché è un guerriero: il “comandante Concutelli”. Comandante di che cosa? Non importa. L’Enel lancia la nuova campagna: i Guerrieri. Chi sono? I lavoratori autonomi, con questo proclama: “Siamo i guerrieri della partita IVA. Siamo i guerrieri senza stipendio fisso e ferie pagate. Siamo i guerrieri dei salti nel buio e degli investimenti oculati. Siamo i guerrieri di provincia nel mercato globale. Siamo guerrieri al comando di noi stessi”. Il comunicato è drammatico e non sembra neanche una pubblicità. Ecco, è interessante: è più una poesia sui destinatari – i guerrieri, i lavoratori, gli imprenditori – che una pubblicità dell’Enel. L’Enel si mostra dopo l’anafora dei guerrieri: “Qualunque sia la tua battaglia, hai tutta l’energia per vincerla. Anche la nostra”. Come se l’Enel regalasse la corrente ai guerrieri, perché se la meritano sul campo. In realtà, “tutta l’energia” che “hai” dall’Enel te la compri, come ti compri ogni prodotto, visibile e invisibile. Così tutto suona forte, anche troppo; e suona male, come un martello retorico. Magari c’è un poeta, dietro. In realtà è chiaro: noi, della guerra, non sappiamo niente. Davvero, niente. Ne sanno i vecchi; ne sanno gli ex del contingente in Libano; e i soldati in Iraq e in Afghanistan. O i giornalisti come Baldoni e Fallaci. E chi si è trovato in Jugoslavia, per mille e una ragione, come Gian Ruggero Manzoni (di cui bisogna leggere un romanzo del 2001, in realtà poesia senza travestimenti in versi: Tango croato, edito da Campanotto). Esclusi i testimoni, tutti gli altri parlano di guerra per dire una cosa che c’è sempre stata, o che si è sempre sognata. È l’intensità, quella di sempre, né più né meno. Ora, è un brutto segno che l’intensità sia chiamata guerra, o che si invochi la guerra per restaurare l’intensità. La verità è nella poesia di Harry Wilmans nella solita Antologia di Spoon River: la guerra, per chi la fa, è cibo putrido, atti bestiali, sifilide, e tutto il possibile. Anche la morte, che è nel conto. L’intensità ha bisogno di educatori, non di assassini. E un lavoratore è semplicemente un lavoratore, la sua dignità è lì, e la stessa Repubblica ci si basa. Oggi no, e di colpo: il marketing decide che un lavoratore è un guerriero, e che è stata inventata un’altra guerra. Una guerra non politica ma sociale, non ufficiale ma diffusa come la polvere, dovunque. La nuova mobilitazione ci riconosce e ci nomina: “guerrieri al comando di noi stessi”. Ma chi è al comando di se stesso non è un guerriero: è un teppista, al massimo un ribelle, ed è solo. È Rambo, al limite, cioè un asociale disperato; oppure il bambino dell’Uccello dipinto di Kosinski: un terrorista senza perché. L’esercito non è così, se vuole funzionare: non ammette individualismi, né anarchia, e ha un obiettivo preciso. Senza ordini non c’è strategia, quindi non c’è vittoria; e non solo: non c’è proprio l’idea della vittoria, a parte la sopravvivenza immediata. Senza l’idea finale, l’impegno non può essere chiaro: la stessa pubblicità dice “qualunque sia la tua battaglia”. Sono solo parole, tutte, e regolate con la retorica, cioè costruite, in vista di un effetto preciso. È la pubblicità, bellezza: che afferma per sedurre; e suona bene per vincere. Lei sì, è guerriera. Chi lavora merita parole diverse, e prima di tutto non merita tanta retorica, soprattutto oggi. Gli si potrebbe dare un po’ di energia gratis, per esempio. Ma è l’unica cosa impossibile: dove c’è pubblicità c’è il mercato, non la carità. Non siamo guerrieri ma consumatori, e senza gloria: la gloria è solo nell’anafora a cinque braccia, ma chiunque può farne una. È una gloria delle parole, nelle parole, con le parole, e stop. Quanto all’augurio della guerra educativa, meglio non pensarci: non aumenterebbe la vitalità, ma solo la polvere. Di onore, poi, neanche a parlarne.
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