Trento, 29 aprile 2016. – La citazione finale deve essere preparata. L’articolo deve essere articolato, come dice il suo nome. Il come e il perché sono inferiori allo stile, in cui tutto è più duro che buono. Cioè lo stile non è politico nel senso usuale. Chi ha occhi di allenatore o di regista, capisca. Lo stile è sempre un po’ autoritario, più espressivo che dolce. Ci sarà una parentesi lunga, e quando finirà perderà una T: diventerà parènesi, con cadenza di monologo, sempre. (Inizia la parentesi. Bisogna sempre leggere Massimo Fini, e rileggerlo, criticamente, ma non perché sia il nuovo Pasolini, “in una forma davvero ribelle e grandemente poetica”, come scrive Pietrangelo Buttafuoco sul “Fatto quotidiano” del 18 aprile 2016. Oggi Fini non ha la figura fisica per essere Pasolini, e senza figura fisica non c’è Pasolini; non ha neanche la figura sociale di Pasolini, e Fini non l’avrebbe neanche voluta, probabilmente; perché in fondo Fini sa che emettere segnali di Tragedia significa consegnarsi alla Tragedia, quindi farsi martirizzare o mutilarsi e morire da soli, prima o poi; ma Fini voleva godere, con intelligenza e senza Tragedia. Dicevo che Fini non ha più la presenza fisica per pasolinizzarsi: è quasi cieco, per cui si avvicina a Tiresia, che nell’Edipo Re di Pasolini è Julian Beck, quindi un uomo di teatro, e Fini sa che il teatro è qualcosa di immortale, ogni tanto ne parla e l’ho sentito anch’io; e poi Fini non ha paura di Oriana Fallaci, e chi non ha paura di Oriana Fallaci è poeticamente nel giusto, perché Fallaci è un autore, non un oracolo, e quindi “L’Oriana era abituata all’invenzione a puro titolo narcisistico”, come dice Fini su “ItaliaOggi”, 3 novembre 2015. Continua la parentesi. Fini sa che il sangue è il sangue, cioè scorre per tutti. Gli uomini si distinguono solo per la qualità e la dignità delle loro azioni; quindi non ci sono razze, ma singolarità, dignitose o no; e questa è anche la mia politica. Poi qualcuno dovrebbe spiegare l’utilità strategia della morte di Claretta Petacci e di Giuseppina Ghersi. Non si tratta di enfasi politica, comunque: ora i discorsi finiscono in poesia, personale e illimitata, perché non ce n’è alcun effetto pratico; e chi legge una frase in Facebook la ama in Facebook, ma non apre una “nuova scheda” o una “nuova finestra” per mandare una lettera a chi l’ha scritta; allora capisci che ogni strumento sociale vive di sé, e solo in sé; ma io penso che tanta miseria chiami altra miseria – così mi sento un po’ solo, però; e non ho ancora una pace privata; poi è inutile che mi chiami P. e dica che sono un genio, perché io vorrei che il genio fosse P., anche CONTRO DI ME, e che non scrivesse due pagine al mese, ma centinaia; perché io posso essere il maestro, necessario al momento – attenzione – ma non la causa indispensabile di tutti i lavori, e se dico questo in margine a Fini è perché qui c’è in ballo un minimo di dignità e di eroismo, soprattutto in chi fa vita pubblica e pubblica libri: perché chi pubblica non è più privato, va bene? Ho detto eroismo. Ci credo, anche troppo: credo all’onore e alla lealtà, ma non alla Patria, per ora. Non vedo grandezza tra i miei allievi e in fondo li ho cercati così: un po’ deboli, ma io sono duro e avrei dovuto cercare cose dure. È duro chi pretende tanto da chi può dare tanto: “So che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”, parola di Cristo. Basta: la parentesi si chiude qui perché è bello chiuderla con l’onore dei pianti a chi merita di essere pianto. Leggete Fini, criticamente, ma leggetelo, d’accordo?). “La principale responsabilità della guerra civile… ricade su Mussolini che non seppe dire di no a Hitler e creò la Repubblica fantoccio di Salò. Ma questa non è una buona ragione per infamare i ragazzi che per quella Repubblica andarono a morire (mentre il Capo tentava di fuggire travestito da soldato tedesco) in nome di valori come l’onore, la lealtà, la Patria che, almeno ai loro occhi, non erano meno importanti della libertà per cui si battevano i pochi, veri, partigiani. Io non ho aspettato Violante per dare a questi giovani la stessa dignità che do ai partigiani. L’ho scritto moltissimi anni fa”. È Massimo Fini, sul “Fatto quotidiano” del 27 aprile 2016. &&&&&&&&&&&&&&&& Ciao Massimo, pubblico l’articolo perché, come ben sai, a me non piace qualsiasi forma di censura. Tuttavia, non sono d’accordo sulla valutazione “storica” di Massimo Fini. La guerra civile in Italia ha origine con l’8 settembre e prima ancora con il 25 luglio, comunque nasce in quel clima. C’è un episodio che lo dimostra: l’assassinio di Ettore Muti, il soldato più decorato d’Italia. Il col. Ettore Muti venne assassinato a Fregene il 24 agosto 1943, per opera dei carabinieri – pare su ordine di Badoglio – che lo avevano arrestato. L’assassinio avvenne qualche settimana prima dell’armistizio di Cassibile (8 settembre 1943) e prima della nascita della RSI, che coincide, dopo la liberazione di Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso per mano dei parà tedeschi comandati dal leggendario Otto Skorzenj, con il discorso del Duce il 18 settembre 1943 da Radio Monaco. La RSI e Mussolini hanno, invece, il merito, tra l’altro, di aver evitato che la vendetta tedesca si accanisse nei confronti delle popolazioni di quella parte d’Italia occupata dalle forze armate del Reich dopo il “voltafaccia” di Badoglio (la guerra continua…… chi non lo ricorda?), della monarchia, sostenuti dall’antifascismo. Claudio Taverna
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