Trento, 29 novembre 2013. – Le nostre Camerate sono informali, per forza di cose. Le Camerate sono accademie in camera (da pranzo, da letto), non proprio segrete, ma nemmeno troppo aperte. Spesso le Camerate Informali praticano una lingua parallela e inusuale, leggermente fuori dalla Storia. Di solito, la Camerata Informale è formata da due persone. Spesso da una, ma un po’ sdoppiata, finché può. A volte la lingua camerale dilaga fuori: ad esempio, le idrologie di Emilio Villa erano sfere, ma le sfere si chiamano anche palle, e il gioco è fatto. Quelle erano proprio grandissime palle, davvero. E poi: gli “Attributi dell’arte odierna” di Villa significavano valori, potenze, intensità, va bene: ma gli attributi sono anche i gioielli virili. E questo intendeva Emilio. O meglio: Emilio metteva in gioco anche questo, per molti ma non per tutti. Palle significa sfere, e sfera è un eufemismo per non dire palla, come Troisi in “Non ci resta che piangere”. È vero, lo Spirito rotola dove vuole: trasumana le Palle e umanizza la Musica delle Sfere. Un giorno Marina Cvetaeva massacrò il disegno della sua bambina: “No, Alja, non ci siamo. Devi fare ancora ta-a-nti disegni e riprovare mo-o-lto a lungo. Finché non ci riuscirai”. Ora, ci sono madri e madri, e figlie e figlie: non si può parlare così a tutte le Ariadne del mondo, ma non ci sono Marine a tutte le porte. Nella realtà ci sono situazioni diverse, compresenti, contemporanee e parallele, madri diverse da altre madri, figlie diverse da altre figlie, no? Quel giorno Marina ha rischiato – anche troppo – un disastro pedagogico, perché “non sopportava le facilitazioni”: ha detto Sfere per non vedere Palle, purché il “povero sgorbio sbilenco” fosse “smascherato senza pietà”. È andata bene: Ariadna Efrón ha resistito e parla bene di sua madre, anche se “non somiglia affatto a una madre”. Ma capire la parola della condizione, momento per momento, lingua per lingua, è difficile. Soprattutto farla capire, senza apparire come il nuovo Duce-Madre e senza distruggere le Palle di una figlia. Ora è caduto anche – ripeto: anche – Berlusconi. Io non vorrei parlarne, semplicemente perché il mondo di Berlusconi non è il mio mondo. Parlerò del signor Dignità. Il signor Dignità vive in questa strada: da tredici anni non ha riscaldamento e da un anno e mezzo non ha l’acqua in casa. Il signor Dignità è una prova provata, un’eccezione vivente alla Norma, come un incrocio tra Che Guevara e un pollo spennato, ma sempre vivo, non si sa come. Ora questa è resistenza bella e buona – anche giocosa, quindi bella –, mentre Berlusconi decade: quindi il signor Dignità è più forte di Berlusconi? Più forte no, è chiaro, ma finora ha resistito. È bestiale fino in fondo, perché ringhia gentilmente, nel suo habitat compromesso, lui e la sua entrañable transparencia. Forse è una cosa da niente. Oppure è linfa per la pagina della Cultura con la C maiuscola, o per la storia della Scultura carnale, vivente come il centauro Marina Abramovic. Ma il fatto è ovvio: essere performativi per dieci minuti non basta più, comunque. L’evento dura come una vita decentemente lunga, e il punto è proprio questo: non limitarsi più, nonostante le limitazioni. Vale anche per il linguaggio delle Palle di Emilio: un solo senso non basta – ma tutto deve essere trasparente, sempre: non ci saranno più misteri, ma livelli – e si deve scrivere in chiaro e in chiave, nello stesso tempo. Bisogna esaurire le possibilità del verbo “soddisfare”, ecco. Attenzione – solo – a come si parla alla bambina che disegna, non si sa mai. Divulgarsi – anche fisicamente – non è poco, e quindi non è laido. Ecco perché si dura: dura quello che non è immondo. Così la pulizia del mondo dura, duramente, e il selvatico si salva, come la stessa Ariadna dopo Marina. Ora, se riesci a vedere le Palle come Sfere e le Sfere come Palle, sei un uomo, figlio mio. Sei già linguista e profeta, è pazzesco. Sei una banana perfetta, va bene così. E il Bollino Blu è il pennacchio informale della Camerata intensa: la garanzia di qualità, che decora l’eterno Cyrano, in chiaro e in chiave, come sempre.
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