Trento, 27 dicembre 2013. – Hai deciso di ucciderti? Perfetto. Ora mettiamo le cose in chiaro. Se sei un bastardo, uno che chiama troia la madre di un diverso – diverso per qualsiasi motivo; se disprezzi un diverso perché è timido, e chiami troia sua madre: bene, se sei così, puoi anche ammazzarti. Se hai fatto del male ad un bambino, sai che cosa devi fare. Lo so: ti sei sentito furbo perché hai qualche adattamento sociale, e il diverso non ce l’ha; lo so che in fondo siete due disperati, uno delicato e uno no; e so anche che prendi le tue pasticche, che sei andato dallo psicologo, magari perché – si scoprirà dopo – hai paura delle donne. Naturalmente chiami froci gli altri, per carità. Va bene, ma c’è un problema: quello che tu molesti non ti ha fatto nulla, e tu gli fai tutto. E sua madre non è il tuo straccio. Togliti di mezzo, se non vuoi cambiare (ma se cambi, ricordati bene, tu per me sarai come il re Davide, e io mi farò ammazzare per te). A chi non è bastardo, si può dire così: non uscire di scena prima di aver fatto risuonare BENE le tue parole. Che cosa significa? Per prima cosa: cerca di capire quale sia la tua creatività. Se sei un artista, tanto meglio. Se non sei un dopolavorista, è molto meglio (capisci: io non amo gli artisti-dopolavoristi, ma non c’è niente di male: il fatto è che noi, furiose salamandre passionali, non sopportiamo le cose tiepide e in generale le “piccole cose quotidiane”; ma tu non farci caso, non è che ti debba gettare nel fuoco, se non sei fuoco). Non permettere che il tuo corpo muoia prima delle tue parole: è difficile che tu abbia Max Brod come esecutore testamentario; di solito si naufraga e basta. Bene, non naufragherai. Te lo dico autorevolmente. Certo, ci sono i problemi economici. C’è la famiglia. Ci sonoil figlio, il padre, la mamma, i fratelli, i rapporti. C’è il sesso, la maledizione del desiderio che non può appagarsi. C’è l’amore che soffoca e che tu soffochi. C’è l’avvocato che ruba. L’amministratore-cane, che pignora. C’è la professoressa che ti chiama drogato, per due denti che mancano. Tutto questo è vero: ma non permettere alle cose – a tutte le cose – di sopravviverti. Le devi organizzare tu, e da artista. Come vedi, ti parlo come se tu fossi Michelangelo. Già, un Michelangelo nella cella frigorifera, in ufficio, sul camion, e anche nello studio-laboratorio, dove si parla in lingua angelica. Ti uccideresti perché sei asociale? Perché ti chiamano frocio, perché mamma e papà sono cattivi? Lìberati dal male, anche perché non morirà con te; ma tu morirai per lui. Non dare a nessuna cosa tanto potere, oltre al male che ti ha fatto. Neanche all’amministratore-cane, davvero, neanche a lui. Ho conosciuto tutti questi problemi, incarnati nei loro bravi figuranti umani (o cani). E ho visto che erano fantasmi, davvero. È stata una strana sensazione: chi urlava “zecca” o “drogato”, chi rubava la vita, è un fantasma. Non esiste. Non c’è mediazione, solo disprezzo. Ora io esisto. Ed ecco il punto: che l'”io sono, io sarò” – se ci credi, è il Nome di Dio – esiste. Siamo noi, vulnerabili come il Dio seba’ot, quello “degli eserciti”, che combatte. Lo so che ci sono mille condizioni diverse. Io qui sto pensando a chi vuole morire perché non sa adattarsi, perché non sa con chi stare e come: caso tipico, l’adolescente sensibile, la persona asociale. Per questo mi sono aperto la Camerata Informale – è questa – e la faccio agire virtualmente e realmente, e in potenza, e anche in atto. Ci doveva essere un luogo, reale e virtuale, in cui il mondo non fosse capovolto. Bene, ora c’è e si estende al di là dei quattro arti, oltre le mani e i piedi. Bene così. Allora puoi ucciderti se hai offeso un malato e sua madre. Se hai fatto dal male ad un bambino. Togliti dal mondo, se l’hai fatto. Ma solo allora, sempre che non diventi il re Davide. Per tutto il resto, nessuno può impedirti di essere. Nessuno deve. E fatti forza – se sei un lettore – con qualche brutta testa dura, tipo Ida Magli o Carmelo Bene, Aldo Busi o Paolo Barnard. Ah, dimenticavo Cristo: di solito Cristo non è male. Anche don Gallo, al limite, meglio che niente (e così siamo proprio al limite). Lascia perdere le cose dolci e dolcine, quando hai quelle tentazioni. Ripeto: lìberati dal male, anche perché non morirà con te; ma tu morirai per lui. Nel dubbio, cercami (ossignùr, cito una canzone di Renato Zero). Cercami e io “mi berrò l’insicurezza che mi dai”. Poco ma sicuro. Ma quello che si beve viene filtrato; e poi lo sai come finisce, non penserai che me lo tenga dentro al posto tuo. Io non sono il tuo rene nuovo, ma ci sono. Dimenticavo: smettila di mandarmi lettere d’amore: non sono qui per queste cose, anche se sono belle. Uno mi disse così, una volta: “Tu non sei un uomo, sei soltanto un poeta”. E pensava anche di offendermi. È fantastico, invece: il poeta non si occupa solo di parole, ecco il punto nuovo. Ora lo so: usa tutto – parole azioni suoni gesti, in tutti i campi –, perché non si lascia più morire. E quindi niente lettere rosate: affondano in un’acqua troppo ardente. Però sono felice se tu vivi, e te lo dico in queste undici sillabe.
]]>