Trento, 2 marzo 2014. – Anno 1957, Albert Camus ha 44 anni e vince il premio Nobel. Camus non l’abbiamo mai visto, ma era bello. Dico: sembra proprio bello, se le foto non mentono. Decidiamo che non mentono. Se si giudica dalle foto, Camus sembra un po’ Bogart e un po’ un legionario, ma carismatico, un mercante o un capitano di lungo corso, ma giovane, e anche bello. Montale ha 61 anni e il doppio mento. Non solo: emana qualcosa di pesante. Forse è l’eccesso di borghesia, forse è la mancanza di passione, non lo so. L’impressione è forte, ma brutta, come la sua traccia nel Seminario sulla gioventù di Aldo Busi: Montale “sembra un tricheco alcolizzato del tutto incapace di fare sia il male che il bene – una forma fisiologica gelatinosa compattata dal fatto di aver prodotto la poesia giusta al momento giusto e, da buon ligure ben inserito, di essersela saputa poi amministrare per tutti gli altri decenni a venire”. In un’altra forma del Seminario il giudizio è questo: “Sembra un pachiderma etilico”. Cambia la bestia e la sostanza resta: un peso informe, una cosa annebbiata, un animale grasso. Il cameriere Busi Aldo era giovane e bello, e anche “alto, coi capelli neri ricciuti”, parola di Piero Bertolucci. La “forma fisiologica gelatinosa” è un ossimoro. È l’uomo che è non-uomo, perché è informe; ed è al di là del bene e del male perché non è né il bene né il male; quindi è il nulla, e in più non è un corpo. È come se non avesse più un corpo, quindi ha bisogno di appoggio. Forse è un ex corpo, il residuo di un’amministrazione “per tutti gli altri decenni a venire”, noi compresi. Nel 1957 il doppio mento guarda Bogart, cioè Camus, e scrive così: “Giovane d’anni Albert Camus ha nella sua magrezza il profilo di uno scrittore della migliore tradizione moralistica francese. In questo senso ha ragione chi vede in lui un classico: il che può significar qualcosa in tempi di confuse esperienze. Probabilmente Camus non è ancora – come qualcuno afferma – un Péguy o un Bernanos; ma non gli mancherà il tempo di giustificare il credito che gli ha aperto l’Accademia svedese”. In fondo, Montale vede Camus come un ragazzo, nonostante tutto. A 44 anni è troppo presto per vincere, a 44 anni uno è troppo giovane. O no? Certo che no, ma Montale non può dirlo. Camus gli sembra un povero a cui la banca del Nobel concede un fido, e senza garanzie. Gli è stato aperto un credito, tutto qui. E poi ha la magrezza, un suo profilo, e anche un’appartenenza moralistica. È perfetto, ma i brutti – compreso il “buon ligure ben inserito” – giudicano i belli, il loro profilo, il loro corso sociale. Ecco fatto, il doppio mento giudica un attore, e anche bello. Ho una formazione accademica dura e dovrei essere razionale, invece credo a queste cose. Credo ai corpi, ecco. Ci credo atrocemente, devo dire; ci credo anche troppo. Perché? Per spirito passionale e per amore. Per la dignità dell’antica madre, la volontà di dire. Il corpo bello e magro è un segno troppo forte, tra gli scrittori. E, parola di una coreografa buona, “i corpi non mentono”. È proprio così. La gelatina del tricheco/pachiderma è benpensante, quindi pensa male. C’è l’episodio che Sebastiano Grasso racconta sul “Corriere della Sera” del 17 marzo 1993: “La rottura definitiva fra Montale e Testori avviene alla Scala. Testori è con l’amico, francese. Incontra Montale e glielo presenta. Il poeta gira le spalle e si allontana. ‘Ce n’est pas un poète, c’est une merde’, grida l’accompagnatore di Testori”. Troppo disumano folgore, per Montale, apparire uomo con uomo, il bellissimo Alain omosessuale accanto agli occhi azzuri – un altro lampo – di Testori, ricco e bravo. Ecco, Montale si gira. L’insulto di Alain è il classico “merde” e parla di una sostanza informe, come la “forma fisiologica gelatinosa”. Bene, tutto torna, da parola a parola. Intanto i brutti giudicano i belli. E i belli si consolano con uno specchio, con le opere, gli sguardi e la furia – una specie di bava verde – che cola intorno. Si consolano anche in un modo feroce: di solito, raccontano tutto. Certo, un uomo “alto, coi capelli neri ricciuti”, e anche geniale, ha un marchio aspro: esattamente come il doppio mento del tricheco. Però il magro si differenzia meglio: prima o poi dilaga in molte forme. Se vive – e vivrà – si impone. È scritto che tutto è grazia, non è vero? C’è chi non è molto grazioso, né aggraziato: peggio per lui. Ma Narciso si conosce: è sempre quello, no?
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