Dischi ricevuti Verona, 5 maggio 2016. – recensione In luogo dell’appropriato coro maschile lento, solenne e commovente, una voce fessa motteggia le parole sacrali su ritmi ballabili con accompagnamento pianistico allegro e scherzoso Dispiace, quando si riceve in dono un libro o un disco, non poter parlarne bene, ma vi sono casi in cui l’alternativa a tale eventualità è solo quella di non parlarne affatto. Dopo essere stato emarginato dall’ufficio stampa della fondazione Arena di Verona per aver scritto che si buttano milioni per scenografie balorde di opere liriche affidate ad artefici stranieri in vena solo di stranezze che stupiscano senza preoccupazioni né di buon senso né di cultura né soprattutto di bilancio (sta di fatto che l’ex Ente lirico è stato portato sull’orlo del fallimento ed è di pochi giorni addietro l’esautorazione del sovrintendente sostituito da un commissario governativo), e dopo essermi giocato l’amicizia sessantennale d’un editore per aver giudicato priva d’ogni interesse la vicenda raccontata in un romanzo formalmente tutto sgrammaticato, questa volta è il turno d’un disco, titolato “Da Caporetto al Piave”, sottotitolato “Antologia di canzoni sulla grande guerra”, e presentato come “Le canzoni della prima guerra mondiale rivisitate da un grande autore”. La rivisitazione costituisce un oltraggio ai canti, agli anonimi autori, ai soldati cui sono dedicati, e alla sacralità degli avvenimenti celebrati, patrimonio d’una Patria oggi assai vilipesa ma ancora rispettata da chi non l’ha rinnegata e ne rimpiange la tramontata grandezza, tra i quali si onora di annoverarsi il cronista, che della critica spietatamente negativa si assume intera tutta la responsabilità. Il «grande autore» sarebbe, anzi è, l’arrangiatore delle canzoni e produttore del cd. Come autore, presenta due novità, che in quanto tali sono estranee al programma denunciato: “Da Caporetto al Piave”, che dà titolo al disco, su testo proprio, e “Andremo via”, testo e musica suoi e di Stefano Ferro, se leggo bene quanto stampato in controcopertina a caratteri poco meno che microscopici. Per i testi, occorrerebbe affidarsi all’udito, poi che – alla pari degli altri – essi non sono riportati nel pieghevole allegato, costituito unicamente da due pagine di presentazione. Ma dalla voce bassa e cupa, melodicamente fessa, non una sillaba si riesce a capire salvo le parole dei due titoli, quelle del secondo più arguite che afferrate. La presentazione devo ammettere è di notevole impatto emotivo, anche se dotata d’una punteggiatura che sembra apposta ad occhi chiusi dove capita capita («… mio padre, mi ricordava che la cantavo con lui», «Occhi rugosi, come fessure, guance scavate…»), ed è resa irriferibile da un’espressione triviale più che volgare. Racconta, il firmatario, che «nella festa della trebbiatura gli adulti» cantavano «le canzoni della Grande Guerra», le quali «erano “Bombardano Cortina”, “Era una notte che pioveva”, “La tradotta”, “Ta pum”, e “Sul ponte di Perati”»: circostanza quest’ultima più impossibile che improbabile, poi che “Sul ponte di Perati” è canzone della seconda guerra mondiale, e celebra gli alpini della Julia che col loro sangue fanno rosse le acque della Vojussa. Oltre tutto, per quanto la Grecia sia stata costretta (tardivamente, nel 1917) ad intervenire nella prima guerra mondiale, essa stava dalla parte dell’Intesa contro gli Imperi centrali, quindi era alleata dell’Italia. Perati e Vojussa sono località e fiume della Grecia, e “Sul ponte di Perati”, in tempo lento, largo e solenne, beninteso nell’originale per coro maschile, è, insieme con la marcia “Decima flottiglia nostra” – quest’ultima per altro su musica non originale – l’unica canzone, ch’io sappia, partorita dall’anonimato dei soldati italiani nel secondo conflitto mondiale, e per parole e musica commuove sino alle lacrime – nella versione autentica, ripeto, per coro di soldati – chi non sia insensibile al sacrificio, oltretutto vano, di tante giovani vite immolatesi per una Patria ingrata in una guerra ingiusta ed ingiustificata – quella contro la Grecia, intendo – , due volte perduta, prima sul campo di battaglia e poi al tavolo degli intrallazzi politici. . “Sul ponte di Perati” è canto fra i più belli, sublimi e toccanti, non solo delle canzoni di guerra, ma di tutta la musica composta in ogni tempo e paese. Nessun grande compositore e nessun grande poeta hanno mai concepito parole e melodia tanto emozionanti per pietà e passione. Io non riesco a cantarla senza che un singhiozzo mi spezzi la voce. Il porgitore ne fa scempio trasformandola in un tempo moderato, se non allegro, ritmato in modo scherzoso. Né miglior sorte arride a quelle autenticamente del 1915-1918, le quali oltre a quante già citate sono la mutilante “Il testamento del capitano” e le poco note “Ponte di Priula”, “Monte Canino”, “Sui monti Scarpazi” e “Adio Ronco”. “La tradotta” in particolare, altro canto di bellezza struggente e per la musica e per le parole, così come l’onomatopeica “Ta pum”, originariamente in ¾ ma qui ridotta a valzerino ballabile, è trasformata in ritmo allegro, e su «cimitero della gioventù» e «son sepolti tutti a San Donà» si può volteggiare spensieratamente prima di rivolgere il rituale ringraziamento al compagno e alla compagna di danza e brindare al successo della festa campagnola nella balera domenicale. L’accompagnamento pianistico è anonimo, e il disco è edito da azzurramusic. Dio li perdoni, se, come c’è da augurarsi, non sanno quello che fanno.
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