Trento, 7 giugno 2014. – Le idee sono sempre due o tre – l’ha detto Aldo Busi e ha detto bene – e non contano di per sé. Conta solo chi le dice e come, e attraverso quale vita. Nervosamente, a proposito di contenuti: Umberto Eco parla del Gruppo 63. Ma rompo subito il filo e annoto (non: annodo): credo poco ai contenuti, ma credo molto alle parole, cioè ai suoni. I suoni sono ossessioni, fa anche rima ed è così. E le ripetizioni sono rituali e/o ossessive, a seconda di chi le dice: tradiscono qualcosa che non va (e il tuo linguaggio ti parla contro, scrisse Sanguineti; ma questo non si deve sapere: se il linguaggio tradisce le Istituzioni, le Istituzioni si condannano). Qui, nell’intervista di Eco, c’è una ripetizione: “Ci divertivamo un mondo. Ed è questo in qualche modo l’idea balestriniana di tipo terroristico”, “L’avanguardia deve esser terroristica e suicida. In ogni caso espressione polemica di un gruppo bohémien ancora escluso dal potere. Il Gruppo era terroristico ma non suicida”; “Ricordo benissimo la frase di Balestrini: Faremo incazzare un sacco di gente. L’idea fondante era un atto puramente terroristico”. “Ci divertivamo”, e questo divertimento era “un atto puramente terroristico”. Il terrorismo aggredisce un nemico politico. Il nemico politico era “il romanzo consolatorio” e “indirettamente” era “la letteratura commerciale”. Tutto qui? Tutto qui. Il nemico era solo “il romanzo consolatorio”. Occhio: deridere, nel gergo degli umanisti-terroristi, significa solo una sola cosa: smontare. In pratica: un gioco sociale. Che cosa non funziona nel martello terroristico? Non funziona il rapporto tra ironia e violenza (e politica). Prima di tutto, non è così automatico, come non è automatico il rapporto tra consolazione e commercio. Il rapporto può esserci e non esserci, perché è un rapporto imposto, ma non è necessario: quindi è un rapporto strategico, come la stessa violenza politica. Oppure questo rapporto c’è, ma sceglie oggetti politicamente più grossi, non “il romanzo consolatorio”, cioè – in pratica – Cassola e Bassani (e qui Eco si corregge: “Certo, oggi riconosco che l’aver messo sullo stesso piano Cassola e Bassani non fu giusto. Salverei Bassani e non Cassola”). Il Gruppo 63 fu ironico – e dunque terroristico – ma non suicida, perché aveva da fare, poteva permettersi qualcosa e se lo permise. Non essendo suicida, fu ironico; ma non ci fu da ridere: ridere umanisticamente è solo una meccanica. Si tratta solo di smontare l’altro. In fondo lo schema dell’ironia-terrorismo e della consolazione-commercio è uno schema artefatto. Non ha nessuna necessità: è un posizionamento formale, ma non rituale. Perciò fine, si fa altro. (Quanto a me? Sì, io. Ah. Che cosa penso dell’ironia? Ora ci penso. Ho pensato questo: l’ironia non contrasta la consolazione, e se lo fa è retorica, così come è retorico identificare la consolazione con il successo. L’ironia contrasta la disperazione, e se lo fa è rituale. La disperazione è quando il bel Narciso non si vede più. È meglio che si veda, no? L’ironia accentua e sforza i toni, naturalmente per ragioni formali, e anche rituali. Bello, ma così faccio l’ideologo: ora silenzio e adieu, bravi tutti, shalom shabbat).
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