Trento, 5 febbraio 2014. – Narciso si innamorò di se stesso, capite, ma almeno era bello. Ecco: se non sei bello e ti specchi, di chi ti innamori? Per inciso: è questo – solo questo – il problema della Contemporanea Italiana Poesia, come la chiamò Isabella Santacroce (che amava – e ama, a ragione – solo due autori: Dante e Dio Onnipotente). Narciso Bello fece una Brutta Fine, perché non si riconobbe; Narciso Nerd non può possedersi e non può amarsi, ma si riconosce: si ammazza solo per disperazione, perché non sa che fare. E poi: Takemitsu e Debord non possono essere popolari, da soli. Sanguineti ci ha provato, ma non basta dire “cucù” per essere popolare. Come si fa? Una strategia c’è. Per la musica è più facile, a dire la verità. La musica di Takemitsu – una cosa come Dream/Window, più che Spirit Garden – può entrare in un film medio: il film sarà il veicolo e la musica sarà compresa nel prezzo. Così può passare qualcosa di Berio, i Folk Songs, se non proprio la Sinfonia; qualche pezzo delle Sequenze, forse. E la letteratura? La letteratura fa piangere. Viaggia male, si vende poco, è anche difficile filmarla, se è letteratura di ricerca. Davvero: un autore pagato per sceneggiare Laborintus di Sanguineti o Il Tautofono di Giuliani che cosa si inventa? Più dello psicopatico – massacratore o piromane – non c’è. Un pazzo furioso, che sussurra: “Con le quattro tonsille in fermentazione, aaah… Portami la povertà e la figura etimologica che si porta… ahhh, per mano…”. Ecco, il maniaco di “Seven” potrebbe essere un comunicatore di Sanguineti. Il suo veicolo, che meraviglia. E va bene, lasciamoli morire: i maestri possono rimanere letteratura della letteratura, piumaggio del suo piumaggio, come Paperone e Paperino, dolci e irreali. I paperi veri non hanno le mani, i poeti inumani non hanno le ali. Bisogna usare certe armi, anche umane, ma non borghesi: la borghesia – o quello che ne resta – è un po’ disumana, anche nella voce, o enfatica o infantile, e provare per credere. Quanto al popolo – quello che resta sempre –, NON DEVE avere l’impressione di leggere Letteratura: quando se ne accorge è finita e ti lascia, sempre che si sia avvicinato. Però Carlo Coccioli era dei nostri e si innamorò delle telenovelas. Perché? La risposta è in Piccolo karma: “Quanti di noi, romanzieri intellettuali, sapremmo nei nostri preziosi libri rendere così bene queste umane realtà?”. Appunto. E il popolo chiede questo. Una ventina di anni fa, Marco Berisso teorizzò l’iniezione di “veleni retorici” nella Letteratura. Erano le solite cose: un po’ di oralità, materialismo, citazioni, straniamento. E poi è finita lì, quasi sùbito. È ovvio: di per sé, la Letteratura non spaventa MAI la Letteratura: è disumana e innaturale, accademica per statuto, e che cosa deve temere dai suoi simili? Niente. In fondo, anche la domanda di Coccioli è quello che è: una domanda retorica, con il sintagma “umane realtà” che fa sùbito Letteratura. A me piaceva l’idea dell’iniezione, però non iniettai “veleni retorici”. Nel 2005 feci di meglio: iniettai Chiara Daino nella Letteratura. Non era (non è) un veleno, ma era (è) un colpo, bello e forte: “io non ho colleghi”, e ora spiegalo agli Italiani dell’Umile Italia. Oggi esce un libro anomalo, trilingue ed ermafrodito: Assereto, Crescentini, Daino, Lend, Metropoli, io, altri. Il nucleo è poetico, italotedesco, e sono poesie di Crescentini e Daino. Ma il nucleo è circondato da strati di oltrepoesia (cioè prosa: critica, narrativa, e la mia prosa latina); e poi da strati di eteropoesia: poesia di altri, poesia per amicizia o per scherzo. Io, tanto per dire, ci ho scritto un inno a Nando, perché chi dice Donna dice Nando. Tutto quadra e tutto è buono, se serve e non è letale. Le poesie di Crescentini/Daino non sono cuore-amore, per fortuna. Non sono nemmeno esperimenti freddi. Sono altro: le poesie di una Dickinson della Teppa, una Dickinson Teppista, ma sempre una Signora, però duale e bilingue, crittografica e giocosa, informata e informale. E – occhio – sono poesie aspre, ma stanno su un veicolo eterodosso e ironico; e poi c’è l’esperienza, la maestra: non è obbligatorio che il Teppista sia sempre un Maledetto. Si può anche vivere, ecco il punto. Quindi: qui c’è una persona pubblicata e diffusa, ma non Narciso Nerd. E – occhio – ora Narciso Bello non si ammazza più: ha superato l’infanzia e l’Italia, poi si è riconosciuto meglio di prima; allora ha cercato compagni, non colleghi. Il veicolo si chiama Dudelei e ha ruote buone: ruote tecniche e ironiche, autoprodotte. E io prendo nota: naturalmente in Latino – ed è la prima volta, in tutta la vita –, e perché? Ragazzi, il Latino non è Italiano e non è attuale, no? E le consonanti dure si mescolano bene. E poi non si parcheggia mai in doppia fila.
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