Trento, 21 febbraio 2016. – Prima della dittatura il Futurismo è un glorioso sberleffo. Il suo capolavoro precoce è il Controdolore di Aldo Palazzeschi (e – insieme – un altro urlo tragicomico: Vita simultanea futurista di Fedele Azari). È un Futurismo che fa anche il clown, perché è ancora irrealizzato: “Trasformare gli ospedali in ritrovi divertenti, mediante five o’ clock thea esilarantissimi, café-chantants, clowns. Imporre agli ammalati delle fogge comiche, truccarli come attori, per suscitare fra loro una continua gaiezza. I visitatori non potranno entrare nei palchetti delle corsie se non dopo esser passati per un apposito istituto di laidezza e di schifo, nel quale si orneranno di enormi nasi foruncolosi, di finte bende, ecc. ecc. Trasformare i manicomi in scuole di perfezionamento per le nuove generazioni.” Quando la democrazia rappresentativa sparisce, il Futurismo diventa direttamente solenne. Ma solenne e basta, a costo di diventare un lupo barocco (e di ammettere l’indicibile: il pubblico “inteso come massa giudice autoeletto” può anche sparire: La Radia, 1933). Trent’anni dopo la fondazione, non c’è più bisogno di fare i pagliacci: “I ventenni potenti ed equilibrati abbracciano il tecnicismo meccanico chimico con fede futurista nell’Impero creatore e con sicura ispirazione trasfiguratrice ed esaltatrice” (La poesia dei tecnicismi, 1938). Proprio così, perché l’Impero dà responsabilità: ti costringe ad essere – se sei pubblico – un movimento schierato e accademico, ma disposto a dare anche la pelle, nel caso. A questo punto il Futurismo non si rivela più nei testi militanti, ma nei testi militari. E quindi: Aeropoema del Golfo della Spezia, Canto eroi e macchine della guerra mussoliniana, Quarto d’ora di poesia della X Mas. Perché la guerra rende tutto schifosamente più serio. E fare sesso con un aereo – cioè illudersi che possa accadere, e poi farne fascismo e fascino, da pubblicare bene, naturalmente con Mondadori – è una delle cose più illuminate del mondo: una mirabile egemonia, fatta come si deve. E adesso scopriamo tutte le carte. Che cosa c’è stato dietro, veramente? È molto semplice: c’è la lotta contro l’amore. Quindi contro gli automatismi della vita non eroica, non rigorosa, non arrischiata e non autoritaria. Il nodo è sempre questo: o sei biologico – e non ti appartieni – o sei eroico, e allora sei grande, ma devi esporti e morire, pubblicato e sputtanato nel tuo Impero. Perché – ad esempio – dovrai dire che è un Impero grandioso, anche se il suo Imperatore è quello che è. Marinetti ha capito subito che il problema era tutto nel cuore e nel cazzo, e l’ha scritto in anni non sospetti: “Noi disprezziamo l’orribile e pesante Amore che ostacola la marcia dell’uomo, al quale impedisce d’uscire dalla propria umanità, di raddoppiarsi, di superare e stesso, per divenire ciò che noi chiamiamo l’uomo moltiplicato”. E allora “ci siamo sentiti subitamente staccati dalla donna, divenuta a un tratto troppo terrestre, o, per dir meglio, divenuta il simbolo della terra che si deve abbandonare”. Qui c’è tutto: “Noi siamo convinti che l’amore – sentimentalismo e lussuria – sia la cosa meno naturale del mondo. Non vi è di naturale e d’importante che il coito il quale ha per scopo il futurismo della specie. L’amore – ossessione romantica e voluttà – non è altro che un’invenzione dei poeti, i quali la regalarono all’umanità… E saranno i poeti che all’umanità lo ritoglieranno come si ritira un manoscritto dalle mani di un editore che si sia dimostrato incapace di stamparlo degnamente” (Contro l’amore e il parlamentarismo, 1915). Né il sentimentalismo né la lussuria vanno bene. E qui cade anche il capo, per esempio quando gonfia l'”educazione sessuale” di Claretta e si dà del vecchio, da solo. Quando si sottomette a Claretta – “è la prima volta”, “come atto di devozione e d’amore” – e Claretta gli dice “Amore, non devi farlo tu, questo”; e quando “le sue grida sembrano di belva ferita”. Ecco qua, lussuria e sentimentalismo, nella stessa storia. Non c’è niente da fare, né prima né dopo. “Non devi farlo tu” sarebbe stata la risposta.Così hanno vinto il cuore e il cazzo, il rosso e le luci rosse, in modo ineccepibile: proprio perché non richiedono né eroismo né cultura, né esposizione né Impero; nemmeno un Impero debole, come quello italiano. Il sentimentalismo e la lussuria sono gloriosamente trasversali e comodi, e per questo dilagano. Chi è “equilibrato” e “fuori tempo spazio”? E chi è “mondo da ogni quotidianismo”, come dice il Quarto d’ora di poesia della X Mas? Fine del Futurismo, allora: per esaurimento dei corpi.
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