Prec. 1 of 3 Succ. Trento, 13 gennaio 2014. – Silenzio. Sentite. È Dante, quello che resta sempre giovane: “Lo nome d’Amore è sì dolce a udire, che impossibile mi pare che la sua propria operazione sia ne le più cose altro che dolce, con ciò sia cosa che li nomi séguitino le nominate cose”. Parafrasi senza grazia: il nome Amore è dolce all’udito, ed è impossibile che le azioni di Amore non siano dolci, perché i nomi delle cose assomigliano alle cose. L’Amore fa solo bene, eppure devasta i connotati, come un pugno. Anche Dante fu sfigurato da Amore: allora “a molti amici pesava de la mia vista”. Cioè: guardarmi era un peso, per i miei amici. Colpa di Amore, giusto? Amore è un nome dolce (da udire), però è pesante (da portare), e ora dovrai vivere nell’ossimoro permanente. Insomma, le operazioni sono dolci e il nome è dolce, ma questa dolcezza sfigura come una malattia. Amore è una contraddizione furiosa, per sua natura. A proposito di nomi, c’è la Litania di Giorgio Caproni: “Genova nome barbaro”. Perché barbaro? Risposta facile: per la rima, perché la Litania vuole la risposta “Campana. Montale. Sbarbaro”. Va bene, e poi? Dante ha scritto che i nomi seguono – per somiglianza di suono e di azione – le cose nominate. E Genova è barbara. O meglio: ha un nome barbaro. Ma il nome è la cosa, perché “nomina sunt consequentia rerum”. E ora vedete che ventaglio si apre. Con i poeti italiani è così, di solito: non fai in tempo a leggere un verso che due parole diventano il mondo. Quindi l’ipotesi è fatta così: Caproni dice “nome barbaro” per intendere “cosa barbara”, cioè “la città barbara”, questa, qui e ora. E perché Genova è barbara? Intanto perché è femmina, con la sua bella desinenza in -a. Poi perché è imprevedibile e cangiante. Perché tutto si mescola a Genova. Perché fu una capitale grande e ora non lo è. Perché è difficile lavorarci. Perché? Perché è così. Ti chiede resistenza e ti offre un paesaggio. Ti offre una storia grande e ti chiede di conoscerla; e di associarti alla storia. Genova significa anche Genoa. Genoa è il Grifone. Il Grifone è la figura trionfale di Cristo nel canto XXIX del Purgatorio. Immortale e complesso, se no non sarebbe Cristo, due nature in una. Ora, il Grifone non è la squadra in sé, e nemmeno i suoi giocatori, e neanche i suoi fondatori del 1893. James Spensley, uno per tutti, è tra centinaia di morti del Commonwealth a Niederzwehren, settore 3, fila H, numero 5. Spensley non è stato immortale, fisicamente. Ma l’idea lo è, come il simbolo, e qui sta il Grifone, ambiguo e composito. E Genova barbara? Vive l’ambiguità del dio Amore di Dante: nome dolce e atteggiamento duro, rifiuto della novità e officina precaria, grande passato e futuro incerto, carezze e botte nello stesso tempo. Il marchese Federico Spinola – un migliaio di anni di storia documentata – ha messo nel curriculum questo status: “Sua preoccupazione primaria è vedere la città di Genova mantenere un ruolo attivo nell’economia e nei valori sociali del nuovo secolo”. E poi un genoano, Sandro Sblen, sotto la rubrica “Inviate i vostri auguri per i 120 anni del Grifone immortale”, ha scritto: “Più mi tradisci più ti amo”. Bello e tremendo come pensiero, tremendo e vero per chi lo vive. Immaginate che cosa significhi, nella carne e nel cuore: tu mi tradisci e io ti amo. Oppure: tu mi tradisci, ma io ti amo. Ti amo nonostante tutto, Barbara. Ti offro anche un “ruolo attivo” e lavoro per questo. È un atto di fede, oppure un pensiero eroico, a suo modo. “Più mi tradisci più ti amo” è anche il titolo di un libro di Alberto Isola, con prefazione di Alfredo Biondi, un genoano di ferro. Chi tradisce è il Genoa? Sì e no. C’è anche la città, che ha lo stesso nome della squadra. E la squadra è oggetto di una fede, in attesa della stella, per il decimo scudetto: non a caso il vecchio Biondi scrive che il Genoa è una “icona sacra”. È vero, come è sacro il Grifone-Cristo. Allora amen, prima o poi la stella arriverà. Ma anche Genova è un’icona, se il nome è un nome che vale. In fondo, in principio, chi si esalta in “più mi tradisci più ti amo” parla della città: Barbara sei e Barbara rimani, perché non si capisce che cosa tu chieda, oltre alla resistenza. Chiedi comunque amore e te lo porto, comunque. Perché il sacro non si discute: o si adora o si bestemmia. E Caproni lo sapeva bene: “Genova di tutta la vita, / mia litania infinita”. Più chiaro e forte di così non si potrebbe. Tutto questo ci riguarda, barbaricamente. Sappiamo amare sempre a tutti i costi, no? Altrimenti saremmo gente vile.
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