Trento, 7 novembre 2013. – L’oggetto è Giacomo Leopardi e chi scrive è Alfredo Oriani, in Ombre di occaso, anno 1901, pagina 287: «Promettetegli un sorriso di fanciulla, un complimento di amico, un applauso della folla, e lo vedrete ridiventare lieto e confidente; ridategli la salute e gli avrete ridata la paura della morte». Insomma: Oriani non crede che Leopardi sia «il poeta della doglia universale». Nerd sì, sfigato sì, genio pure, ma non universale. Oriani non crede nemmeno al male di vivere di Giacomo: Thierry era «ammalato quanto lui», Swift era «ammalato anch’egli», Burns «trovò nella fame grida che fanno torcere le viscere», Verlaine «mendicò ai conventi». Oriani dice: Giacomo è uno strepitoso ritardatario, un prosatore del Cinquecento innestato nell’Ottocento; un prosatore perfetto – è vero –, ma in una prosa che non si può adattare alle esigenze di Cavour – che scriveva in un pessimo italiano – e di Mazzini. Soprattutto: Giacomo non è e non può essere rivoluzionario, perché il suo stile non lo è. O meglio: è contro la Natura e «tutte le cose», e secondariamente contro la Chiesa, ma l’anticlericalismo di Giacomo è disarmato: è la conseguenza di premesse filosofiche («tutto è male»), non il primo pensiero di un distruttore. La rivolta è contro entità pervasive, ma invisibili; e sta nel solco dell’Ecclesiaste e della sapienza classica, ma non nel presente. Metternich e gli Asburgo non devono temere nulla di serio da Leopardi; né i Borbone né i Savoia, nessuno; proprio nessuno. I preti sì, un po’, ma basta un filo di censura; senza contare che lo stile perfetto allontana i dissimili, ma non avvicina i simili. Per uccidere e per esaltare con uno stile perfetto serve un personaggio, nel suo teatro vitale, non un autore sepolto vivo. E imporsi di non superare l’ottavo lustro di vita – imporselo veramente, e chiamare tutto questo una grazia, come nell’Inno ad Arimane – è il fallimento totale, oltre che una bestemmia. Né avanguardia né retroguardia, né successo né vita, nessuna posizione, sociale o artistica o sessuale: tutto virtuale o inespresso, e a questo punto si può solo morire. E poi il corpo, lo stramaledetto corpo. Il corpo è l’anima, nel senso che detta le condizioni dall’esterno all’interno. Il corpo è il portatore e la manifestazione dello stile (e Giacomo non amava lavarsi, è vero). Ma un corpo sepolto vivo non emette segni, se non localmente. Le pubblicazioni sono completamente manuali e Internet non esiste. Non c’è ancora una rete veloce in cui inserire Giacomo: niente è social e niente è network in quei giorni, a parte la Massoneria. Così Leopardi si glorifica postumo, all’interno della piccola Italia; e si glorifica come «un classico tra i classici». Bene, ma non basta. Anzi: è la fregatura più grave. Nel 1995 Giorgio Agamben pubblicò un capolavoro: Categorie italiane. Il saggio più forte parlava dell’«intenzione antitragica» degli Italiani, grazie a – o per colpa di – Dante e della sua Commedia. L’idea è che tutto deve finire bene, solo bene, sempre bene. Tutto è picaresco, balordo, cattolico, pagano, provvidenziale – dipende dai libri e dagli autori – ma tutto tende al lieto fine. Di eroismo foscoliano, poco o mai, perché l’eroismo non usa battute (leggere per credere i discorsi militari di D’Annunzio, perfetti come i quaresimali del Trecento). E tutto è anche un po’ ridicolo, come il Brunetto che insegnava l’eternità all’uomo e sta all’inferno (e tutto è ridicolo – ovviamente – perché Dante lo decide, da buon sadico: o da buon reietto che si basa sul glorioso «io so perché io sono, e tu non sei»). Di qui una mitologia che nel 1995 era giovane e ora è la norma: il positivo presidente-operaio, l’ottimismo degli elettrodomestici, la Nutella con il mio nome sopra. Con l’intenzione antitragica si tira a campare, bene o male, e chi ha un frammento di grazia può anche imporsi. E poi serve salute. Oppure serve una fermezza aggressiva – e anche ironica, chi può – nella malattia. La tecnologia può aiutarti a diventare un piccolo personaggio, e questo conta; e a ridurre qualche limite fisico, e questo conta anche di più. La tecnologia può eliminare qualche parte tragica, almeno esteriormente. Giacomo sarebbe dovuto nascere ora: l’eroismo di Facebook non è granché, ma è sempre meglio che farsi tenere in vita da Antonio Ranieri. Giacomo avrebbe avuto un po’ di successo normale, forse. Bisogna avere lettori convinti, e magari qualche follower, se no si parla da soli, e c’è chi fa male a parlare da solo. «Un sorriso di fanciulla, un complimento di amico, un applauso della folla». Magari, e in purissima intenzione antitragica. E così: Giacomo Leopardi Fan Club! Recanati Social Forum! Leopardi va da Fazio!
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