Trento, 13 marzo 2015. – Si presenti, architetto. ” Mi chiamo John Calvin Portman, Jr.” Quanti anni ha? ” Novanta, compiuti”. Segno zodiacale? È molto importante. ” Sagittario. Sono nato il 4 dicembre”. Dove? ” A Walhalla, South Carolina”. Walhalla? Come il tempio di Ludovico di Baviera? ” Sì, e come il palazzo degli Einherjar. Come vede l’architettura estrema e l’immaginazione mi appartengono, per nascita”. Capisco. Signor Portman, è consapevole che questa situazione è estrema e immaginaria, e che io non la sto intervistando veramente? ” Sì, ne sono consapevole”. Mi dica: dov’era il 12 ottobre 1988? ” Me lo ricordo benissimo. Ero a Genova”. E le è piaciuta, signor Portman? ” Sì. E avrei voluto lavorarci”. Senta, signor Portman, sia sincero: ha creduto di poter lavorare qui, veramente? Ma Portman non risponde più: il nostro incontro è mitologico e il gioco è bello finché dura poco, se no diventa manierato. Comunque John C. Portman esiste ed è un’archistar.La Musa dell’Architettura se ne ricorda ancora. Ecco la storia: il 1992 stava per scivolare sopra Genova e Genova voleva rivedersi bella (perché Genova, “tutta cantiere” è femmina, “mia fidanzata. Bagascia”, come la vede Giorgio Caproni nella Litania; ma è un’altra storia, e ognuno ha la bagascia che si merita, e ogni bagascia è una storia a sé). Una cordata di privati chiamò qui Portman, così il 12 ottobre 1988 Portman si spiegò. Dispiegò il progetto. Impiegò un po’ di tempo. Insomma, la cosa fece rumore. Io non c’ero, ma chi non c’era – e non inseguiva ancora la sua Chimera, la fidanzata e la bagascia – può leggere il libro di Mario Tasso: Il ” Cono di Portman” e l’operazione Porto Antico. Progetti, atti e memorie sul recupero del waterfront genovese, De Ferrari, Genova 2015. Ecco la proposta di Portman, nella descrizione di Tasso: ” Un cono alto 262 metri emergeva dal vertice di una isola triangolare di più di 300 metri di lato, piazzata nel centro del bacino storico. L’isola era ancorata a terra con una strada in curva che si allargava in mare ad arco deviando via Gramsci da Porta dei Vacca a Piazza della Mercanzia… Il cono era un grattacielo di 30 piani destinato ad una struttura alberghiera di 350 stanze… L’isola era formata da una grande piattaforma triangolare su cui s’impostavano 144 pilastri cilindrici concavi sorreggenti un grande frangisole a griglia… Tra i pilastri s’inserivano quattro livelli di volumi destinati ad attività commerciali, terziarie e direzionali… Il progetto interessava una superficie complessiva, tra aree a terra e aree sul mare, di 180950 metri quadrati, di cui l’isola da sola ne occupava 41700″. Portman disse, allora: ” Ho voluto creare una immagine che identifichi a livello mondiale la città”. Proprio così: ” creare una immagine” per ” identificare” un posto. Ma è parola da regista, più che da costruttore. Tasso racconta la presentazione del 12 ottobre 1988 come una liturgia spettacolare: “Nell’oscurità, iniziarono a risuonare le note trionfali di un concerto di Vivaldi mentre spot luminosi facevano improvvisamente apparire due splendidi plastici bianchi. Un grande cono affusolato, alto come una persona, ed uno più piccolo si stagliavano nel buio… Ci fu un’ovazione generale e due minuti di applausi. Con una regìa da film di fantascienza, iniziarono a scorrere su uno schermo le smaglianti immagini dei plastici…”). Si vede sùbito: quello di Portman fu più un evento che un progetto. Non è la stessa cosa, e anche un profano lo sa: non tutti gli eventi sono progetti, non tutti i progetti sono eventi. E allora la Musa dell’Architettura approvò il cono di Portman, ma la Dea Ragione dei genovesi non lo volle, e il popolo fu pragmatico: basta che si faccia qualcosa, va tutto bene. Allora si impose Renzo Piano, o il principio di realtà: come scrive Tasso, ” un’operazione leggera, non invasiva e non magniloquente”.
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