Trento, 28 dicembre 2014. – Attenzione, è un comunista che scrive. Quel comunista non sono io, ma Gianni Rodari: “In principio la Terra era tutta sbagliata, renderla più abitabile fu una bella faticata. / Per passare i fiumi non c’erano ponti. / Non c’erano sentieri per salire sui monti. / Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un panchetto. / Cascavi dal sonno? / Non esisteva il letto. / Per non pungersi i piedi, né scarpe né stivali. / Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali. / Per fare una partita non c’erano palloni: / mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni, anzi a guardare bene mancava anche la pasta. / Non c’era nulla di niente. / Zero via zero, e basta. / C’erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare, e agli errori più grossi si poté rimediare. / Da correggere, però, ne restano ancora tanti: / rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti”. Il Comunista del romanzo di Guido Morselli andava anche oltre: vedeva che il lavoro non era eliminabile – quindi è tragico –, perché l’uomo è mortale e l’habitat è duro. “Il lavoro con la sua penosità è dunque una condizione universale e insopprimibile. Senza riscatto” (cap. XI); è vero che “il socialismo promette di liberare il lavoro…”, ma “il lavoro dovrà seguitare anche dopo l’attuazione del socialismo. E… seguiterà ad essere penoso”, perché “l’ambiente conta più degli uomini e della storia” (XIII). Così il Comunista, Ferranini, si fa massacrare dai compagni, solo perché ha ricordato Leopardi agli italiani. Per esempio ha osato scrivere che la natura “ammette la vita soltanto per riannettersela: per distruggerla, insomma” (XI), e per questo ha manifestato una “incauta, e inconsistente, presa di posizione in linea teorica”, secondo il Partito. Il compagno Schiassi parla da ingenuo: “Chi non sa che il lavoro è prezioso, e che fa bene alla salute”. E il compagno Ferranini – “genuino elemento della base”, a Reggio Emilia (I) – può solo ricordargli un’ovvietà: “Il lavoro degli operai, il lavoro dei lavoratori, non fa bene. Qualche volta ammazza”, come all’Eternit o alla ThyssenKrupp. Il lavoro “in un modo o nell’altro, àltera. Fa scadere, debilita. Ottunde”. Per questo uno beve, dopo l’inferno della lavanderia americana, e per questo un operaio-scrittore si spiega, e anticipa la parola di Schiassi: “Il lavoro è una buona cosa. È necessario per la salute dell’uomo, ce lo dicono tutti i predicatori, e sa il Cielo che non mi ha mai spaventato. Ma ci sono cose nelle quali è male eccedere: una di queste è quella lavanderia” (Jack London, Martin Eden, cap. XIX). Ora la Grande Crisi può restituire i culi comodi alla “bella faticata”. Per esempio si ritorna alla terra, minuscola, che è l’elemento più grezzo di tutti: ora anche la rivista “Style” parla di neo-imprenditoria agricola, con tanto lavoro dei lavoratori, come “semplici elementi” della natura. Chi ha parlato di “semplici elementi”? Un uomo dignitoso. È il compagno Ferranini, quello che “un po’ di vita buona non l’aveva fatta mai” (Il Comunista, I).
]]>