Trento, 24 novembre 2013. – Come si fa a scrivere con calma? Ho sempre avuto una calma esteriore, praticamente un abito: un involucro ben gestito, tutto qui. E poi niente è sobrio, nelle operazioni: che cosa si scrive a fare, se no? Scrivi per «esprimerti»? per «dare il tuo contributo»? Non scherziamo. Si scrive per una classicità, un po’ da onorare e un po’ da riformare; e per godere di questa bella illusione: fare le cose con le proprie mani, magari per una Onlie Begetter. Ora niente è sobrio, ma il Jack Daniel’s Single Barrel non c’entra, e neanche i dolci sigari: i vizi sono una buccia piacevole, ma sotto o dentro sei la polpa che sei, dai e dai, e così tutte le volte. Attento alla furia, che ringhia: ne fa le spese il dinosauro di plastica, ma non ne ha colpa lui. C’è altro da scagliare contro il muro, ringhiandogli addosso. Ho ricordato qualche verso del fu maestro, Sanguineti: «Non sono in crisi, lingotto mio, propriamente, e il capitale personale è salvo: ma la svalutazione che ho patito è enorme». Mica male. A chi non piacerebbe essere chiamato «lingotto»? A te, che leggi. E hai ragione: «lingotto» è detto per dire, tanto per mantenere un’illusione di stile. Perché voglio essere popolare, tanto popolare, più che popolare – così grida il veltro, il chierico rosso, tra Feltrinelli e Feltrinelli; ma non funziona più. E il capitale personale – se conosco il poeta – è l’apparecchio maschile, niente di più. È roba brutta-brutta e cattiva-cattiva, basta così. Poi c’è roba bella nel brutto, e il casino nasce qui. Prendiamo Post Office di Bukowski. C’è Betty, l’amante di Chinaski, e in camera sua «c’era di tutto, vino, vodka, whis, scotch. Le marche più a buon mercato. Le bottiglie riempivano la stanza». Tutti regali di Natale, scelti con cura: alcool ad un’alcoolista, fantastico. E Chinaski capisce il rischio: «Quegli idioti! Possibile che non ci arrivino? Creperai, se bevi tutta questa roba». Naturalmente Betty crepa in dieci giorni. La descrizione dell’ospedale e del funerale ce la possiamo risparmiare, adesso, perché è domenica e dobbiamo vivere. E poi prendiamo Gli ultimi giorni di Pompeo di Andrea Pazienza. E In exitu di Giovanni Testori. E V.M. 18 di Isabella Santacroce. Risparmio le descrizioni, la spada nella vena e la catena al ramo, le torture e il resto. Detto brutalmente: la poesia del lingotto si chiama Parodia, come Wilhelm nell’Isola di Arturo di Morante, ed è finita lì. Più brutalmente: le altre opere – tutte – sono opere senza Cristo. O meglio: Cristo c’è, e c’è anche alla grande, ma è un Cristo alcoolizzato in Betty, tossico in Pompeo e in Gino, ed è il gatto squartato in una storia di Zanardi e nel film Paz!; per non parlare del «satanico Dio» delle Spietate Ninfette. È Cristo, ma non risorge, e sta continuamente appeso alla sua Passione; ed è un Modello, sempre, ma non è un Vincitore, perché ci piace farne il Garante maiuscolo del nostro Degrado. Non solo: il Cristo fottuto permette di trovare bella la Sconfitta, bello il Dolore, bello il Sadismo, e di rappresentare le Bellezze Sadiche a regola d’arte. Se tutto è Passività – divina, ma Passività – tutto è morto. E se Cristo non risorge, la fede è vana: lo dice Paolo, non Pier Paolo, e dice bene. Ma se Cristo non risorge, nemmeno io risorgo; non dico come uno scheletro di Luca Signorelli, ma ora. La resurrezione deve avvenire adesso, e il Regno è questo. Cioè non mi riferisco ad un Cristo in Chiesa, ma alla sua signoria, come Verbo e Re. E queste non sono righe di apologetica, tutt’altro. Né io, qui, sono uno «scrittore cattolico» (col Jack Daniel’s davanti? Ma dai). Non mi piace – se devo continuare l’enueg neomedievale e neoitaliano – una cosa che prima non vedevo: rappresentare il male, ostinatamente e senza soluzione, non è solo intelligenza del male, ma è anche intelligenza con il male; e rappresentare il male con grazie letterarie o di disegno è anche peggio. Paz è immenso, Testori anche, Santacroce è un genio, e l’ho sempre detto; anche la guida semicieca è un genio, ma canta che «è per me un dovere amare il popolo ebraico, lo Stato d’Israele». Ha ragione, ma dimentica un altro popolo, che ha i suoi «orfani e vedove». E ora, a me. Il 27 novembre compio 40 anni e potrei dire: «la svalutazione che ho patito è enorme». Non dirò mai di questa svalutazione, e due negazioni non affermano, ma gridano. Però programmo qualche vittoria speciale: una resurrezione, più che un’insurrezione. È chiaro: ci sarà anche l’insurrezione, a modo suo, ma è un problema della Pólis, e io parlo di singolarità, ferocemente attive (e molto anarchicamente, perché «non siamo Stato noi»). Poi la sobrietà è davvero l’altra sponda: sta bene dove sta, comunque. Il Male rappresentato è fuori luogo, in attesa di andare fuori campo. Il futuro contiene una Città Fantastica.
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