Trento, 5 agosto 2015. – Non ho voglia di tuffarmi nell’inno al calcio di Giovanni Allevi. E perché non ho voglia? Perché ho tanta stanchezza sulle spalle, e non tutti i naufragi sono dolci (e i naufraghi sono incazzati: chi vive non si dà pace). C’è anche la stanchezza delle palle, forse. Non ho neanche voglia di occuparmi di Giulia Mazzoni, e nemmeno delle parole di Luigi Maiello sulla “musica della casta”. Ho ancora tanta stanchezza sulle spalle – e nelle palle tese – e The Brilliant di Bill Evans è come un grande occhio, bello aperto. Maiello scrive che Allevi e Mazzoni esistono per colmare “una zona rimasta colpevolmente vuota a causa dell’egemonia di un certo modo di fare, intendere e proporre la musica strumentale”. L’esempio di questa egemonia è Cage, naturalmente. Naturalmente il Cage dei minuti di silenzio, non quello che scrive note. E naturalmente l’esempio è estremo, così il popolo medio approverà il giudizio. Ma Cage, se ride, ride bene. E se Cage studia, studia bene. Poi aveva il suo amore ballerino, e quindi era uno di noi, e Cage lives & rules: nel senso che ha avuto la sua bella passione umana (e poi rideva). Su Facebook, e anche nel mondo, c’è una gran donna. Si chiama Ippolita Luzzo, sta in Calabria, sa scrivere e combatte le emozioni. Ippolita cita qualche verso emozionale: “Notti di luna piena / dopo la pioggia infinita… / quando il vento accarezzava / i suoi pensieri disordinati… / cullando sogni colorati”. Intanto il “Corriere della Sera” ha rifiutato il necrologio di Massimo Fini per il mullah Mohammed Omar, “vittorioso contro i criminali ‘signori della guerra’ che avevano fatto dell’Afghanistan terra di abusi, di soprusi, di assassinii, di stupri, di taglieggiamenti e di ogni sorta di violenze sulla povera gente, riportandovi l’ordine e la legge, sia pure una dura legge… Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar”. La pietra scagliata verso il “Corriere della Sera” non era emozione ma onore civile, i costruttori del “Corriere” l’hanno scartata e ora è caduta nel “Fatto quotidiano”, il primo agosto 2015, dove non è proprio la testata d’angolo. Torno al gomitolo di strade, per essere fedele alla citazione e all’eccitazione. A Genova ci sono ailanti di 15 metri, anche in centro. Nessuno li ha visti nascere e crescere, ma ora sono lì, perché sono ovunque: chi non ci crede, può cercare la voce AILANTO in Google, sezione Notizie. Ora tutti sanno che Allevi è furbo e Cage è un millantatore – e che io sono uno schifoso presenzialista –, ma nessuno vede l’albero dentro la città. Intanto arriva al quarto piano del palazzo, è resistente al freddo e all’inquinamento, puzza e rinasce sempre. Dilaga visibilmente, ma non è veramente visto, in più è competitivo e mostruoso, poi puzza. Estirparlo è difficile e faticoso: è meglio parlare male di Fabrizio Corona.
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