Trento, 23 ottobre 2013. – * Buongiorno, Notte. Non credo più alla cultura come informazione: l’informazione è ovunque, come i social networks e il sesso, e come i rifiuti. La limousine di Cosmopolis gira come un limbo – fatto macchina – nell’inferno delle informazioni: le riceve e le condivide, da infelice ad infelice. Le informazioni dilagano, e per questo vengono raccolte; ma nessuna azione – eroica o intima, di quelle per cui «ponimi come un sigillo sul tuo cuore» – è un’informazione. Però è un buon ricordo. E il ricordo è l’intensità, anche se la parola «intensità» è banale. Allora: niente informazioni – né la data del concerto né l’anniversario di Wagner – e niente recensioni. Lo scambio di favori dilaga, e sembra che tutto sia santo; ma nel 1983 Entušenko l’ha scritto bene, in una poesia per l’Amore (quando si parla di Amore, si parla di tutto; e questo è molto chiaro al medievista, da sempre): «Dalla pialla dell’abile versificatore, ricci di versi; ma l’incanto dei ricci di Puškin non si ripete». Nessuna informazione, ma schegge pratiche, che possono servire nella Notte, alla Notte. Oppure collegamenti ideali – ma visibili, perché la Filologia deve essere precisa, se no Mercurio non la sposa più – e poi la Traumdeutung del mattino. Ecco. Un d’Annunzio di 25 anni scrive così, nel libro II del Piacere: «La forma del sonetto, pur essendo meravigliosamente bella e magnifica, è in qualche parte manchevole; perché somiglia una figura con il busto troppo lungo e le gambe troppo corte». E spiega perché: le due terzine sembrano e sono – nel disegno e nel suono – più corte e più rapide, «in confronto alla lentezza e alla maestà delle due quartine». Il 19 marzo 1932 un d’Annunzio di 69 anni prende un appunto: «Il solenne Goethe aveva le gambe corte. Il lungo busto di Goethe era perfino modellato peggio de’ suoi troppi numerosi ‘busti’ postumi! Ma possiamo noi rimproverare le gambe corte al poeta di (?)». E prima ha scritto: «Comparate la sua Ifigenia alla mia Fedra. La sua pacatezza al mio eroismo». C’è anche troppa roba, per un sogno solo. Goethe era asimmetrico o «manchevole». Il sonetto è come un busto troppo lungo, sopra le gambe corte. Goethe è l’uomo della «pacatezza» e il Comandante – lo dice la parola – è il Comandante, per autoproclamazione e per effetto dell’«eroismo». Anche d’Annunzio – prima di diventare il Comandante – ha scritto molti sonetti: ha peccato di asimmetria, anche lui? Sì, perché la forma è quella; e no, perché il modo è stato un altro. Ecco il modo: «Tutti i sonetti delle Città del silenzio composti a cavallo. Alcune strofe dell’Otre, le più belle, composte a cavallo…». A cavallo si ha una velocità sovrumana; e il centauro uomo-cavallo non è più un rapporto tra il busto e le gambe, ma tra un Controllore e un Controllato. E poi si è molto belli, a cavallo (diciamo che il cavallo ci mette molto di suo). Il cavallo fa in modo che si copra la mancanza: l’uomo non c’è più, ma si raddoppia. Vale anche per chi va in moto; e vale per l’aereo, soprattutto in altri anni. Agli altri, dal cavallo e dalla Harley, si può dire un insulto degno della Grande Opera o dell’Apocalisse: «Tu sei manchevole come un sonetto!». Naturalmente è un endecasillabo. Ecco fatto. E ora buongiorno, Notte: il sogno si interrompe di colpo, e chi legge lo può contemplare, fino all’apice. Io non lo completo più. È un po’ brutale ammettere un rapporto tra le mancanze nel corpo – di cui non si è responsabili – e le mancanze in una forma letteraria, di cui si è responsabili. Ancora una volta, è il problema della coerenza, o del carisma: come se la poesia fosse educazione fisica e la letteratura una diseducazione (fisica). C’è anche il fatto della velocità; e della simmetria da rifare, ovviamente. Come farai quello che non sei? Ecco il punto. Lo farai con strategie centauriche o con le macchine: naturalmente devi controllare tutto, strategie e macchine, se no finisci come Luigia Pallavicini. Lo fai perché decidi di poterlo fare. E l’«artefice» – d’Annunzio lo chiama così anche nel Piacere, con il suo filo di retorica – deve coprire le mancanze. Anche una madre sarta lo fa, nel suo campo; insomma, niente che non si sappia già, tra di noi. Ma niente che non possa essere ripetuto: la ripetizione crea un filo di ebbrezza – quella che dice «io so» e «festa dei sensi» – e poi ci terrà in vita un altro giorno, Notte. Non è meraviglioso?
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