Trento, 15 settemvre 2013. – D’Annunzio erotomane. D’Annunzio esteta. D’Annunzio retore, e retorico. D’Annunzio e il fascismo. D’Annunzio è il fascismo. D’Annunzio non è il fascismo. D’Annunzio principe. D’Annunzio bibliofilo. Le poesie di D’Annunzio. D’Annunzio grande eroe. Ottimo lavoratore. Grandissimo amatore. Si potrebbe continuare: in D’Annunzio si vede tutto, ma non si spiega niente, tranne l’eccezionalità dell’ambizione, anche in Collegio. Paradossalmente, il tema natale di D’Annunzio – è stato fatto, si trova anche in internet – sembra più esplicito di un’analisi da studiosi, ma il risultato non cambia: dichiara solo l’irriducibilità, in ogni campo. La voglia di gloria e di piacere, la necessità di denaro, il superlavoro, il bisogno di lusso sono spinte forti. E tutte le spinte sono valide e contemporanee, ma non si spiegano in un modo solo. Non con l’intelligenza o il buon senso, almeno. E poi D’Annunzio pubblicitario. D’Annunzio e la vita inimitabile. D’Annunzio che grida ai soldati: «Morire non basta». Qui è il punto: non basta perché – prima di tutto – l’inesauribilità dei morituri in divisa è enorme; e perché – in fondo – è ovvio che si muoia, sotto le mitragliatrici austriache: il problema è come si muore, e quindi come si sopravvive. Nel libretto della Riscossa, D’Annunzio fa parlare la madre del disertore, e gli dice: «Tu non sei mio figlio». Ora, non conta che la scena sia reale o irreale: conta l’estremizzazione del discorso, fatto per colpire. Deve funzionare; in più deve essere una parola memorabile, possibilmente illimitata, come in Bousquet, Owen, Jünger, Mishima. Un libro non basta, perché chi non dà tutto non è figlio: non è scrittore. Al posto della Madre si può mettere la Gloria, e la parabola funziona lo stesso. «Il mondo non mi vuole più e non lo sa» è una strana frase di Pasolini: Pesci come D’Annunzio, Owen e Bousquet, soldato occasionale a ridosso dell’8 settembre, macelleria sociale e giudiziaria, abitudini fuori norma, produzione sconfinata. È facile parlare di amore feroce per la vita; in realtà Pasolini è incomprensibile, se non si scava nel rapporto con la morte e nella sua ambizione; e anche nella sua abilità profetica, senza santità. Il mondo – cioè gli uomini: noi, qui – «non sa» e «non vuole» capire che «morire non basta». Può bastare ad una figura marginale come Dominique Venner, che si è semplicemente autodistrutto. Ma in D’Annunzio bisogna vedere chi ha parlato: ha parlato uno scrittore. E allora bisogna agire nel linguaggio: bisogna consumare gli usi della parola, fino all’ultimo stadio. Si può diventare capolavori di carne. E ovviamente si lavora come bestie. Nel Ribelle di Jünger – soldato e padre di un soldato caduto – c’è un ultimo capitolo sulla magia della parola, e la chiave è qui: «La parola è materia dello spirito e, in quanto tale, idonea a edificare i ponti più arditi; essa è anche lo strumento supremo del potere.Tutte le conquiste, reali e immaginarie, tutti gli edifici e tutte le vie, tutte le battaglie e tutti i trattati sono preceduti da rivelazioni, ideazioni e formulazioni propizie nella parola e nella lingua: e dalla poesia. Si potrebbe dire che esistono due generi di storia: uno nel mondo delle cose, l’altro in quello della lingua». E che cosa c’entra il Verbo con un lottatore antisistema? C’entra: perché il ribelle – sarebbe meglio dire l’imboscato, l’uomo «andato al bosco» – non può corrompersi, pena il disonore. E chi corrompe il linguaggio corrompe la vita; il contrario la aumenta, come se non si morisse più, e per questo «morire non basta». D’Annunzio stava diventando un Dorian Gray di mezza età. Poi viene la Guerra. Allora il lessicologo si abitua ad agire disperatamente bene, e ci riesce; la sua scrittura ha un’impennata, che vuole prosa e non poesia. La poesia rischia sempre il suono del falsetto, ed è elitaria solo perché è poesia. Ma la prosa sembra per tutti, anche quando non lo è. Ed è più orchestrale e più utile, di fatto. La provocazione è grossa anche oggi: dire che D’Annunzio dovrebbe essere letto a partire dalla Carta del Carnaro e da Per la più grande Italia è una mezza bestemmia. Ma non lo è, perché «morire non basta», e neanche la poesia estetica può bastare, ad un certo punto. Dai testi di guerra, irredentistici, fiumani, politici, patriottici, viene una chiave, anche più completa di quella poetica. Quanto a capire veramente chi fosse D’Annunzio, questa è un’altra cosa: gli strumenti intellettuali sono troppo barbari e univoci, e non bastano più.
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