Trento, 28 settembre 2013. – «Il vostro parlare sia sì sì, no no». Facile: se è sì, dite di sì; se è no, dite di no. È una delle frasi forti di Gesù, che di sincerità se ne intendeva. Certo, ha creato un problema professionale: che cosa dovrebbe fare un attore, davanti a questa frase? L’attore è il fingitore. Lo scrittore inventa. Il politico può mentire, se vuole. Il diplomatico nega anche l’evidenza. In una vecchia puntata di «Un medico in famiglia» Nonno Libero – che è il nonno di tutti gli italiani, per volontà popolare – diceva a suo figlio: «Negare! Negare sempre!». Naturalmente parlava delle corna: negare sempre, negare tutto, e ci si salva. Il sottinteso è ovvio: la moglie è sempre una cretina. Il nostro parlare deve essere sì se è sì. Benissimo. Ora immaginiamo che uno sappia qualcosa, ma non abbia le prove. Intuisce, ma l’intuito è quello che è: il tuo vale quanto il mio. L’intuito non ha testimoni: si dà testimonianza da sé, e poi è anche un po’ superbo, perché si sente nel giusto. Il punto è questo: supponiamo che uno abbia l’intuizione di una Repubblica ceduta al nemico – un nemico inconcepibile, che non coincide con il notabile e con il ministro –; e che ne scriva. Magari – perché no? – sul «Corriere della Sera». Un giorno del 1974 esce un articolo molto poetico e anche molto retorico. Dice: io so tutto sulle stragi, sui tentativi di golpe, sul Governo. Insomma: sa tutto, ma non ha le prove, nemmeno una. Sa perché è uno scrittore ed è abituato a collegare un po’ misticamente i fatti lontani; e quindi non ha le prove, ma solo i suoi pensieri. Il sì-sì di Pasolini – si tratta di lui – è inquietante, perché potrebbe essere la visione di un poeta, e allora varrebbe come la poesia di chiunque. Potrebbe essere un’invenzione un po’ provocante, e potrebbe anche essere una buona verità. Ma senza prove, che cosa è? Diciamo una cosa un po’ forte: senza le prove, la parola ha lo stesso valore di chi l’ha detta, né più né meno. E poi c’è di peggio: chi parla senza prove è costretto a dare sostanza alle parole. E quale sostanza, se le prove non ci sono? È ovvio, la sua stessa sostanza: il corpo, il tempo, l’onore. Altrimenti uno parla da solo, come un onanista. Lo dice Pavese in Lavorare stanca: «Bisogna fermare una donna» e parlarle, convincerla a creare una storia, viverci insieme; perché quella «donna» è la realtà, è il pezzo forte di qualcosa che resta un sogno, senza di lei. Ecco: chi parla senza prove deve cercare la «donna»: la realtà. Se «parla da solo», è finita, parla per modo di dire. Si masturba con un sogno in testa, tutto qui. Nell’introduzione a Contro uno e contro tutti D’Annunzio ha scritto una cosa sempre valida: «Dell’aver molto parlato ho, davanti a me medesimo, fatto ammenda con l’aver molto operato». Appunto: molto operato. E a torto o a ragione, esagerando il più possibile, perdendoci pure un occhio, D’Annunzio ha operato. Anzi: si è fatto operare, prima dalla guerra e poi dalla chirurgia. E anche Pasolini, negli ultimi anni, ripete un motto, quando può: «Gettare il proprio corpo nella lotta». Pasolini l’ha gettato in lotte di tutti i tipi, non tutte eroiche. Ci è anche morto, quattro giorni dopo l’omicidio di un neofascista, e dopo la relativa guerriglia urbana. Ci sarà un nesso? E chi ci pensa più, oggi? Nemmeno io, qui, ho l’ombra di una prova. L’artista senza prove deborda sempre. Non si limita a dire sì se è sì, ma aggiunge due cose. La prima è gloriosa: ci mette il corpo, e magari ne lascia qualche pezzo, o tutto. La seconda è gaudiosa: ci mette lo stile, e vuole essere visto come un perfetto mago e un perfetto cronista. Per inciso: Dante non ha fatto altro, nel poema che ha deciso di chiamare «sacro». È come se uno dicesse: «Io sono ispirato e intuisco, e se sbaglio come puoi contestarmi? L’ho detto subito che non avevo le prove. Ma se indovino, io so – e sono – qualcosa che tu non sai, e non sei. In realtà non puoi mai contestarmi». E poi – aggiunge – io ci ho messo il corpo, ma tu? Allora il sì-sì viene detto al massimo livello, e in salti di prosa ritmica. Così sconvolge le acque, crea un bello squilibrio, e anche memorabile. È chiaro che piace molto al senza-prove. Anzi: ci gode proprio. E così ti fa penare un po’. Ti fa pensare.
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