Trento, 5 gennaio 2014. – La mia patologia è che sono rimasto solo. È una bella frase, veramente. Non l’ho scritta io, ma Simone Cristicchi. E poi dice: ti regalerò una rosa, dice così. Anche Max Gazzé ne parla: sposa, domani ti regalerò una rosa. Ma la domanda è peggiore dell’offerta, davvero: potranno mai le mie parole esserti da rosa? Non è uno scherzo: riuscirò a dirti qualcosa che sia come la rosa? E anche Lucio Dalla: potessi essere meglio di quello che vedi. Il soggetto di “potessi” è sempre uno: io. È poesia popolare – il successo non fa schifo –, è purissima poesia popolare, e perché no? E tutto questo a che cosa serve? Serve a dire. A comunicare la difficoltà: dire una frase che sembri la rosa, essere meglio di quello che si vede, dedicare una vita dedicata. La parola non ha sapore e non ha idea: deve avere anima, ma che cosa è l’anima? L’anima è l’anima, anima lieve, sei d’accordo? È anche vento, una cosa che soffia, ma se soffia – gonfia le guance, fatti vedere – deve avere spazio. Non il lettino e il dialogo, ma lo spazio. Ecco, potrei dire che ho bisogno di spazio. E che senza spazio si soffoca. Il problema è che qualcuno ha bisogno di molto spazio: o glielo danno o se lo prende, porco mondo. Perché il vento soffia dove può, non dove vuole, e se non può si soffoca. Della tua querida presencia non si fa a meno, perché è inesauribile. E io ho sempre fame e sete, soprattutto sete. E se mi chiedono “come stai?” rispondo sempre così: sto disperatamente bene. In Francia lo dico in francese, non mi costa nessuna fatica. E quindi sto alla grande, spietatamente e seriamente bene. E operativo, più che mai. A questo punto, il palco magico si apre e appare il Cuore, e quando si appare non si mente più. Dico davvero. Chiedi di me, male che vada arriverà Renato Zero, meglio che niente. Sai che non ho mai creduto – mai – alla differenza tra essere e apparire. La differenza avrebbe senso solo se fossimo immortali, ma questo non c’è ancora. E quando si appare si vede tutto, e allora perché mentire? Per questo non sono veramente un attore, ma sono una voce; una voce educata, ma anche febbrile, spesso contorta. E per questo faccio anche Cinema, come posso. Lo faccio perché tengo fede all’idea di quel vecchio matto, il più disperato di tutti e il più nudo di madre: il Cinema è la lingua scritta della Realtà. Le maiuscole marcano i nomi sacri. Mi va bene così e non ho ancora trovato di meglio, nemmeno il Pampero aniversario. Oggi ti metti in viaggio, ma torni. Torna presto, e torna in tutti i sensi. Questa frase – torna in tutti i sensi – si capisce in tre o quattro modi diversi: sono tutti veri, per forza di cose (e le parole sono cose). Tutti questi sensi appaiono, come l’anima lieve, va bene? Viva Radio Italia Solo Musica Italiana. E viva la Radio! È domenica mattina e chi parla sono due che parlano: Francesco Cataldo e Gabriella Capizzi. Per amore che va disperatamente bene, per alchìmia del verbo, per eccesso di vita, per tutto questo amo la Radio, amo ferocemente la Radio: perché chi riesce ad apparire senza il corpo – ed è vivo, non disincarnato – per me appare due volte. È un fatto vitale e tienilo in mente. Se basta la voce, è una cosa difficile e santa. Vuol dire che la voce fa anche il corpo. E allora sì, le parole possono essere come le rose. Anzi: da rose, perché fanno l’azione delle rose. Ma le rose che fanno? Niente, fioriscono senza perché. Non sono io a dirlo, ma un Angelo tedesco. E anche la voce fiorisce così, senza perché. Tempo totale di modifica: quaranta minuti della vita di Capitan Harlock e di Paperoga. Ecco il cuore, alla fine: è lento, batte più lento, e allora ciao, come stai? (Grandissimo Lucio D., che brutto scherzo morire).
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