Trento, 3 ottobre 2013. – C’è un luogo comune: lo stile non conta, contano le idee. E perché lo stile non conta? Perché – si dice – lo stile è superficie, e la superficie non è l’essenza. L’idea è l’essenza. E quando l’idea – per esempio politica – è una “frana di menzogne”, come scrisse Antonio Porta? Lo stile è posticcio e l’idea è vera. Lo stile è vanità e l’idea è seria. E ci si sente intelligenti, ad avere delle idee, possibilmente nate bene. Le crediamo vere. Diamo tutto ad un’idea. Potremmo anche morire per un’idea. In realtà tutte le idee letterarie, estetiche, politiche sono citazioni, di per sé. Su questo c’è stato un bell’inganno scolastico, cioè una buona idea politica: insegnare che l’apparenza è il contrario dell’essenza, e identificare l’essenza con il pensiero, e il pensiero con la verità. Nello stesso tempo si è puntato tutto su un’apparenza come pura vanità (e vanitas): la moda, l’oggetto, le manie. Sull’apparenza – geneticamente modificata, e sporcata – si è costruito un inferno pubblicitario: dove un cliente dell’Enel – diciamo – non è semplicemente un consumatore di elettricità, ma un guerriero. Di quale guerra, veramente? Di nessuna. C’è un esperimento da fare, un po’ aggressivo ma sempre buono. Prendere quello che scrive Paolo Barnard – ipertecnico, duro come il ferro – e vedere come è scritto: a volte vibra come chi parla coi nervi, a volte diventa una specie di poesia. Barnard ci mette la sua vita, sempre, perché la vita è il laboratorio più immediato, per tutti. Fa così l’unica vivisezione non mostruosa: quella su se stesso, e in modo inesauribile. L’esperimento si può ripetere con i Riempitivi di Pietrangelo Buttafuoco sul “Foglio”. Lì c’è della poesia, davvero, e non poesia da poco: una poesia illimitata, pubblicata e popolare. Già, sempre lei: la poesia. Il grande pubblico non lo sa, ma esiste un establishment della poesia, un po’ milanese e un po’ romano: è una casta che disprezza la divulgazione, e anche il successo di pubblico; da buona casta, pratica una specie di lingua sacra, che non diventa mai pubblica, nemmeno se esce con Mondadori. In ogni caso, le copie stampate sono sempre pochissime, anche ad alto livello. Nello stesso tempo, la casta poetica non rinuncia ad apparire, se può; rinuncia a sedurre. E allora uno può preferire Barnard, senza problemi, e dirgli tutto quello che gli si può dire, pro e contro. Barnard non è il Verbo, e nemmeno – nella sua umanità – un modello in tutto e per tutto: ma è qualcosa che c’è, un’imponenza più grande della normale presenza umana. Posso considerare questa imponenza come poesia, tutta nuova. Il Manifesto dell’Estremocentro alto di CasaPound dice questa cosa: “L’Estremocentroalto schifa le ideologie e non possiede la verità. È però portatore di uno stile. Lo stile è superiore alla verità, poiché reca in sé la prova dell’esistenza”. Che orrore, CasaPound. Ma CasaPound non è né il male assoluto né l’oro colato. E si impara tranquillamente anche da CasaPound, e si critica quello che c’è da criticare, intelligenza contro intelligenza, intolleranza contro intolleranza. Ora, lo stile come “prova dell’esistenza” significa una cosa semplice, ma sempre bella: tu sei come appari e parli come sei, e quindi tu ci sei. Poi il problema è sempre quello: va bene, sappiamo che ci sei, è dimostrato – ma COME sei, tu? Qui servirebbe una scuola diversa, praticamente medievale. Quello stile – che hai e sei – ti dichiara sempre. Ti spoglia quando credi di coprirti. Non è un’apparenza pubblicitaria, ma è come la pelle: c’è, apertamente, e parla come deve parlare. In realtà lo stile è una brutta bestia, ed è anche bella. È ambiguo e potente; e ostile, anche contro chi lo usa. Sarà per questo che fa paura, sempre paura. E così bisognerebbe rifondare l’Apparenza, quella vera: cioè noi; e poi imparare a parlare. (Quanto a me, qui, non sono un opinionista; faccio anch’io – come posso – esperimenti nel mio laboratorio: propongo uno stile; e lo pratico).
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