Trento, 7 aprile 2015. – Identificare l’autore: Nanni Cagnone, nato il 10 aprile 1939. Come Claudio Magris? Sí: benedetto il giorno e il mese e l’anno. I due si assomigliano? No, direi di no. Ne sono abbastanza sicuro, con un po’ di violenza d’autore/attore, poco gentile. Descrivere la forma: aforismi, pensieri separati, poca narrazione, «scorie dell’oralità, sopravvissute alla perdita dei contesti. Frasi caratteriali, glosse emotive, simulazione di certezze apodittiche». Descrivere lo stile: tiene o non tiene? Tiene, tiene: è controllato e maturo e severo e colto, e molte altre cose. Chi pubblica il libro? La Finestra editrice, nell’anno 2015: prima uscita della collana Coliseum. Coliseum? Coliseum, di nuovo. E il sapore? Eccellente. Eccellente? Eccellente. Un elisir d’amore nervoso e Discorde, diciamo. Elementi lancinanti, sparsi (come «scorie», «sopravvissute», ecc.): «La maggior parte dei rapporti amorosi serve a convalidare il reale»; «Il poeta sente la poesia come un invalido l’arto fantasma». Ricordi di quando la gloria era una bella Gemeinschaft con le anime belle: «L’unica volta in cui ci sembrò d’aver preso cittadinanza, fu quando – nella contigua Albissola, lungo le estati dei declinanti anni Cinquanta – si stava al bar Testa o altrove con Lam Fontana Alechinsky Capogrossi Fabbri Baj Dangelo Cardazzo Rossello Crippa Jorn Manzoni Sassu Elde De Micheli Appel Milani Scanavino Bertagnin Matta Corneille Guerrini De Chiffre Dova San Lazzaro Mazzotti Chiodi Leoncillo Luzzati Sabatelli… La serenissima repubblica era governata dal bel tempo, dall’arte ceramica e dai sortilegi del mar Ligure».Quello non era proprio il Parnaso, ma era reale ed era esteso. Ci fu, per chi passò da quelle parti. Chi divaga è perduto. Anzi: si è già perso, come Pollicino. Chi corteggiò i colori scuri si è perduto? Vediamo: «Nazifascisti, Jünger Benn Gehlen Pound Céline Heidegger Giono? Ne avevano il diritto, se ad altri fu lecito essere stalinisti. Ma non credo ai loro idilli con il Drittes Reich. Nella realtà, non lo riconobbero. Ad agire fu l’ebbrezza delle loro metafore, l’insolenza d’inconciliabili sogni. Gl’innocenti postbellici – i vincitori – non risparmiarono loro volgarità alcuna». Un bello – e buono – elemento da ariete è lo sperma. Qui: «Ciò che sommamente mi affligge, negl’intellettuali che conosco, è l’inflessibile loro cautela. Piccoli risparmiatori di sperma». Qui: «Sperma polvere sudore, smania sangue esaltazione. Avidità dello sguardo, insofferenza e voluttà del percepire. Amare il luminoso, temere l’oscuro». Qui: «Opera accogliente, che edifica ancora un tempio antico, luogo dell’offerta, luogo dell’attesa – sangue sperma affanno, sonnolenza e visione». E ancora qui: «Spermatica preghiera, gridar di voluptates in solenni pensieri, oscure regole del caso, e quante esistenze ilari o struggenti, prese nel Weltspiel». Lo sperma cade dove cade, con piacere, da soli o in coppia. Ecco, questo è un altro punto furioso, nello scatto finale: «Non aveva torto, Mishima, dicendo che nessun piacere è inoffensivo, anche se non riesco a credere – come gli Aranda – che il pene possa morire penetrando nella vagina. In altre parole, chi è inibito lasci perdere la poesia come lascia perdere la vita». So che cosa significa, di abiura in abiura: di sopravvivenza in sopravvivenza (e poi ho lasciato le amate mantidi sanguinetiane, e anche Sanguineti, poi morto, anche lui; e forse morto omnis, morto già tutto). I pezzi innominabili sono qui, in coppia: «Gli scrittori che non perseguono la distrazione del significato mi fanno pensare a quegli inibiti decisi a far uso corretto del cazzo, del culo. Non vorrei assistere ai loro esperimenti». Gli esperimenti, già. Un esperimento che non può funzionare è questo: avere la propria storia della letteratura italiana, discorde e nervosa. Ecco il serpente intero, che lo dice per negarsi: «Non esisterà mai una storia della letteratura che ci si adatti, nessuna sarà tanto accurata da invitare al party i nostri prediletti, né tanto lacunosa da risparmiarci autori grandi per altri ma non per noi. Rovina tuttora gli storiografi la pretesa d’uno sguardo imparziale (nel dar forma all’oggetto, restare senza forma), mentre il probabile bifolco che antepone Tennyson a Hopkins, o Pasolini a Testori, sarà propriamente tale solo per noi». E glosso così: io amo Pasolini e Testori, tanto per dire. Non da contemporaneo, è chiaro, soprattutto non da contemporaneo del primo. Ma so – credo di sapere, non da contemporaneo – perché Testori è un artista e Pasolini no, o non del tutto, o non sempre, ma a caso, e non per molto. E allora? Non è un problema: il nostro arbitrio «non produrrà storie letterarie perché la nostra è vera prepotenza» (e Pasolini pensò di essere un nuovo Dante, o l’Ambiguo per eccellenza, o il papa Pietro II: sempre con «vera prepotenza»). Non si fa il riassunto dei frammenti: è come mettere puntelli da filologo dove il ritmo è spezzato. E non si fanno esperimenti su libri come questo. Ma io uso volentieri e spesso la prepotenza, che non è un piacere inoffensivo, appunto. Questo uso è bello, davvero, e anche pratico (e il Sagittario ascolta volentieri una virtú di Ariete). Ma c’è un segreto, in Discorde: la coppia – separata, non unita – di scritti su Emilio Villa. Il centro è questa coppia, perché dichiara in fretta qualcosa che va oltre lo stesso Villa: il rapporto avanguardia-accademia, il dolore dell’anarchico davanti a Mic Mouse, il rischio di dire parole «sacrosante», da non dire, perché è un rischio, appunto, e l’altro amico è afasico, e l’amicizia ha una gerarchia, oltre che una cortesia. Bisogna essere chiari: non si è sacrosanti davanti ad Emilio Villa, soprattutto se chi parla fu solo «un amico minore».
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